STATI UNITI E CINA ALLO SCONTRO GLOBALE Strutture, strategie, contingenza di Raffaele Sciortino

Il mutamento della scena mondiale, rispetto alla fase ascendente della globalizzazione, a partire dalla crisi apertasi a ridosso del 2008 sta rimettendo in discussione il rapporto asimmetrico tra Usa e Cina, non visto limitatamente come relazione o scontro tra potenze, ma come perno degli assetti capitalistici dispiegati su scala planetaria degli ultimi decenni. L’urto che si profila all’orizzonte si staglia sullo sfondo di un caos crescente, che il conflitto ucraino rende ancora più drammatico.

Da un lato, il capitalismo cinese in ascesa ha in teoria ampi margini di sviluppo ma la coesistenza non conflittuale con l’Occidente imperialista si sta rivelando una strada sempre meno praticabile. Sul fronte opposto, l’egemone mondiale nello svolgere una funzione ordinativa a tutt’oggi indispensabile a scala internazionale – suggellata dal dollaro moneta mondiale – opera un prelievo sempre più oneroso e destabilizzante per il capitalismo nel suo insieme.

Nessuno dei due contendenti può rinunciare alla partita. La contraddizione specifica di fase è tra la necessità, speculare e opposta per Cina e Stati Uniti, di conservare la globalizzazione e la spinta a mettere in atto strategie che finiranno per minarla. Con ciò, si arriverà ad una vera e propria de-globalizzazione? È realistico pensare al passaggio a un ordine multipolare sostitutivo del caos montante? Siamo di fronte ad una sfida egemonica da parte cinese o piuttosto ad un nodo sistemico nella dinamica intrecciata di mercato mondiale, assetti geopolitici e rapporti di classe?

 

Il Prof. Guido Ortona discuterà con l’autore il nuovo volume di Raffaele Sciortino «Stati Uniti e Cina allo scontro globale. Strutture, strategie, contingenze» (Asterios, 2022).

 

Per ulteriori approfondimenti sulla pubblicazione consultare le pagine web:
http://effimera.org/tra-lanno-della-tigre-dacqua-e-lanno-del-coniglio-dacqua-di-stefano-lucarelli/

https://www.asterios.it/catalogo/stati-uniti-e-cina-allo-scontro-globale

Contro il 41 bis ad Alfredo Cospito e l’ergastolo ostativo

Abbiamo voluto portare il dibattito sulla lotta di Alfredo dentro l’accademia, nell’ateneo della città sede del processo in cui si vuole riqualificare il fatto di reato – due ordigni dimostrativi in luoghi deserti che non hanno ferito né volevano ferire alcuna persona – da strage ‘comune’ da cui la condanna a vent’anni (!) a strage ‘politica’, punita con l’ergastolo: anziché il diritto penale del fatto, il diritto penale del nemico.

Alfredo Cospito è il primo anarchico sottoposto al regime speciale dell’art 41bis della legge di ordinamento penitenziario, il “carcere duro” che sospende le normali regole di trattamento e massimizza le afflizioni della detenzione sino a renderla una deprivazione sensoriale: l’isolamento in celle di 2x3m con solo due ore di permanenza fuori in gruppi di massimo quattro persone, un solo colloquio al mese con i soli familiari con vetro divisorio a tutt’altezza e sotto controllo audio e video, una sola telefonata di dieci minuti al mese a cui si ha diritto dopo i primi sei mesi ma solo in sostituzione del colloquio, visto di controllo sulla corrispondenza, divieto di ricevere e inviare libri da e verso l’esterno, limitazioni sugli oggetti. Restrizioni di stampo custodialistico a cui le storture del dibattito pubblico c.d. “antimafia” hanno permesso di entrare nell’ordinamento – prima temporaneamente, poi strutturalmente – senza che nella società suonasse l’allarme per deroghe così plateali al principio di umanità della pena.

È di questi “abomini repressivi”, come li ha definiti Alfredo all’udienza di dicembre nelle dichiarazioni effettuate “prima di tacere per sempre”, che l’avvocato Flavio Rossi Albertini, la Prof.ssa Alessandra Algostino e il Prof. Gianfranco Ragona, hanno discusso davanti ad un’aula gremita da più di 350 persone.

https://unito.webex.com/recordingservice/sites/unito/recording/0696efc383b6103bafff005056819912/playback

 

Abbracci

Abbracci
Non si usano quasi più, gli abbracci
Non quelli scontati, fatti tanto per fare
Non quelli dovuti, per buona educazione
Gli altri
Quelli occasionali, che nascono
come treni in partenza
Che incontrano mondi, fogliame,
sguardi che si spostano
Che i miei capelli
e i tuoi, capelli
Che gli occhiali, oddio,
nel taschino
Non si usano quasi più, gli abbracci
tra persone che si conoscono appena
eppure hanno gli stessi sguardi
smarriti nei particolari
A volte un abbraccio arriva,
a volte un abbraccio parte
Poi magari si dimenticano
(così è la vita, se vi pare)
Lino Di Gianni 25/1/2020

Voci da un altro mondo. Lettere dal manicomio senza censura. “Matti” di ieri e invisibili di oggi

In Via Trivero è stato presentato martedì 17 gennaio il bel volume di Enrico Contenti Voci da un altro mondo. Lettere dal manicomio senza censura. “Matti” di ieri e invisibili di oggi. (Sensibili alle Foglie)

Leggere e “vedere” le lettere scritte alla Associazione per la Lotta contro le Malattie Mentali (ALMM) dai reclusi nei manicomi, nei civilissimi anni settanta del Novecento, restituisce valore e dignità a quelle persone che ne sono state private e ci aiuta a comprendere l’estrema sofferenza di chi, oggi come allora, è afflitto da problemi psichici. Nel libro traspaiono indignazione e rabbia verso un sistema sociale che, dopo aver cancellato le forme di comunità solidali del secolo scorso, ha lasciato il cittadino solo e fragile di fronte al senso di precarietà e insicurezza che lo sovrasta. Un sistema che non soltanto contribuisce alla continua crescita del disagio mentale, ma sembra quasi occultarlo per non mostrare i suoi “scarti”. Un sistema che non manca di trarne profitto attraverso l’immenso giro d’affari dell’industria del farmaco o delle strutture private che si rafforzano a fronte di un’assistenza pubblica che, nonostante pochi esempi virtuosi di “resistenza”, continua a impoverirsi di risorse umane e materiali.

Niente da dimenticare di Guido Viale

Il libro ricostruisce la storia di Lotta Continua dalla sua nascita nel 1969 allo scioglimento del 1976 e affronta in diversi e dettagliati capitoli tutta la storia del cosiddetto processo Calabresi che vide inquisiti e condannati Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani.
Niente da dimenticare esce in libreria in contemporanea con la messa in onda su Rai Tre, Venerdì 13 gennaio alle ore 21.20, del film-documentario di Tony Saccucci, Lotta Continua.
dove la storia dell’organizzazione viene ripercorsa attraverso diverse immagini d’archivio e le parole tra gli altri di Erri De Luca, Gad Lerner, Donatella Barazzetti e Vicky Franzinetti ospiti delle prime presentazioni del libro organizzate a Torino, Milano e Roma.
Niente da dimenticare sarà presentato Venerdì 13 gennaio alle 18,30 a Torino presso il Polo del ‘900. Insieme all’autore interverranno: Vicky Franzinetti, Marco Revelli e Licio Rossi.
A seguire il libro sarà presentato a Milano venerdì 20 gennaio al Teatro Franco Parenti dall’autore insieme a Gad Lerner domenica 29 gennaio a Roma a  Casetta Rossa Spa, dall’autore insieme a Donatella Barazzetti,  Tano D’Amico e Erri De Luca
Altre presentazioni a febbraio sono già previste a Bologna, Modena, Pergola e Rimini. Tutte le presentazioni saranno ad ingresso libero.
Il libro si divide in due parti.
Le origini di Lotta Continua: “Quello che ha formato e tenuto insieme Lotta continua, e che ancora adesso irrita o intriga amici e nemici a distanza di decenni, sono state l’amicizia e la fiducia reciproca tra persone dall’origine e dal destino più diverso. Un’amicizia e una fiducia formatesi e confermate in un’esperienza comune di qualcosa di raro e straordinario: la conquista di una propria autonomia, sia individuale che collettiva; la costruzione di una propria dignità umana attraverso l’azione e l’assunzione, senza deleghe, delle proprie responsabilità; l’esperienza della scoperta di una socialità libera, al di fuori degli schemi ufficiali, sia del governo che dell’opposizione, sia della cultura accademica che di quella della sinistra ufficiale, sia della gerarchia di fabbrica che di quella sindacale, sia del potere istituzionale che della tradizione del movimento operaio.”
La vendetta: “Trent’anni dopo la strage di Piazza Fontana, del 12 dicembre 1969, gli anni di galera che non erano riusciti a infliggere a Pietro Valpreda li avrebbero fatti pagare ad Adriano Sofri: per aver contribuito, con Lotta Continua, a smascherare il cuore del progetto della “strategia della tensione”. Il difensore di Marino aveva spiegato il senso della sua lunga battaglia giudiziaria, durata dodici anni, per far condannare Sofri, Pietrostefani e Bompressi: per lui il Sessantotto doveva essere rappresentato in giudizio da un collettivo – il famoso Esecutivo di Lotta Continua – mentre Sofri, il cui ruolo di mandante sarebbe stato probabilmente frutto di un equivoco, era stato condannato, perché, invece di sostenere che “il mandante del delitto Calabresi è un mandante collettivo, e non Adriano Sofri, aveva voluto difendere la generazione del ‘68”. Possiamo riconoscere in questa dichiarazione una vera e propria confessione del fatto che tutto il processo è stato attraversato da un insano spirito di vendetta nei confronti della generazione del ‘68 e di Lotta continua in particolare.”
In copertina è riprodotta una prima pagina del quotidiano Lotta Continua del giugno 1975 con le fotografie di Tano D’Amico.
Il libro è in prevendita e in vendita in tutte le librerie on-line e off-line e nel book shop dedicato dell’editore: https://interno4edizioni.bigcartel.com/

CORSO DI PRIMO SOCCORSO

L’anno che finisce e quello che verrà, di Livio Pepino

Sta per andarsene un anno orribile. Come pochi altri nella vita della mia generazione.

Una guerra mondiale (per numero di paesi direttamente o indirettamente coinvolti) sta mietendo decine di migliaia di vittime, distruggendo un intero paese e provocando una catastrofe ambientale. È una guerra, per di più, destinata a proiettarsi in un futuro in cui sono in gioco non solo le sorti dell’Ucraina e (forse) della Russia ma gli equilibri geopolitici che caratterizzeranno il mondo nei prossimi decenni con cambiamenti epocali, a partire dal ruolo della Cina e di altri colossi emergenti. E non è una guerra isolata. Ci colpisce in modo particolare perché è nel cuore di un’Europa che ha conosciuto decenni di pace (con la sola tragica eccezione della ex Jugoslavia) ma, nel mondo, i conflitti dimenticati o rimossi sono decine, in Kurdistan, in Palestina, nello Yemen, nel Myanmar per citare solo i più noti. Ci stiamo abituando e la guerra diventa normale, parte del paesaggio planetario e delle rubriche fisse dei telegiornali. E, con l’abitudine, sono riemersi – incomprensibilmente solo con riferimento all’Ucraina – lo spettro del nazionalismo, la retorica della guerra giusta, il mito della “vittoria finale”. Ciò ha diviso, nel nostro Paese, quel che resta della sinistra. Così, compagni di sempre hanno letteralmente indossato l’elmetto e impugnato le armi proclamando che non c’è trattativa o compromesso possibile, anche se tutti sanno che la guerra finirà – dopo decine, o forse centinaia, di migliaia di morti evitabili – con un compromesso analogo a quello che si sarebbe potuto raggiungere nove mesi fa.

E non ci sono solo la guerra e, al suo fianco, la violazione dei diritti civili, diffusa più che mai anche in Europa (e nei Paesi con essa alleati). Ci sono, per continuare nel linguaggio bellico, una questione ambientale e una questione sociale esplosive. La crisi climatica e ambientale è sotto gli occhi di tutti: basta aprire una finestra, scorrere il bollettino delle temperature, leggere i giornali (che descrivono, anche qui considerandoli eventi naturali e all’ordine del giorno, fenomeni atmosferici estremi che distruggono vaste aree di un mondo che si modifica sotto i nostri occhi distratti). A fronte di ciò, capi di governo e leader mondiali dichiarano, a parole, la propria consapevolezza e determinazione ma, in concreto, non ci sono interventi significativi, a meno di considerare tali le inutili proclamazioni conclusive di conferenze internazionali sempre più stanche e ripetitive, incapaci di rinunciare al mito della crescita infinita, delle risorse illimitate, dell’energia a ogni costo, delle grandi opere inutili, del dio mercato. Non meno grave la (connessa) crisi sociale. Ovunque, nel mondo, i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri diventano sempre più poveri. Il patrimonio netto dei 10 miliardari più ricchi si è più che raddoppiato (+119%), in termini reali, dall’inizio della pandemia, superando il valore aggregato di 1.500 miliardi di dollari, oltre 6 volte lo stock di ricchezza netta del 40% più povero, in termini patrimoniali, dei cittadini adulti di tutto il mondo (https://volerelaluna.it/materiali/2022/01/21/la-pandemia-della-disuguaglianza/). È il trionfo della disuguaglianza. Ma non è solo un fatto quantitativo. «Tutto – come ha scritto papa Francesco – entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”». Il rischio è quello descritto con lucidità da Luigi Ferrajoli: «È del tutto inverosimile che otto miliardi di persone, 196 Stati sovrani dieci dei quali dotati di armamenti nucleari, un capitalismo vorace e predatorio e un sistema industriale ecologicamente insostenibile possano a lungo sopravvivere senza andare incontro alla devastazione del pianeta, fino alla sua inabitabilità» (Per una Costituzione della Terra, Feltrinelli, 2022).

Intanto, mentre sul piano individuale non ci siamo ancora ripresi dallo shock della pandemia (che ha svelato la nostra vulnerabilità e insicurezza, quando vivevamo nell’illusione che le scoperte scientifiche e le tecnologie ci avessero reso invincibili e padroni dell’universo), su quello collettivo sperimentiamo, ovunque, il deperimento degli istituti della democrazia a cui siamo stati abituati con la fuga dei cittadini dal voto (e conseguente riproposizione, pur rivisitata, dell’antico “governo dei meno”), l’accantonamento dei parlamenti a vantaggio dei governi (che, a loro volta, si dichiarano impotenti di fronte allo strapotere delle multinazionali private), l’insediamento all’est e all’ovest, nel guscio vuoto degli istituti della rappresentanza, di regimi autoritari (definiti appunto, con evidente ossimoro, “democrazie autoritarie”).

Se, poi, guardiamo al nostro Paese la situazione è segnata – oltre che dagli elementi sin qui descritti – da una deriva politica e culturale senza precedenti nella storia repubblicana. Per la prima volta abbiamo un Governo dalle esplicite ascendenze fasciste che, come ha sintetizzato da ultimo Francesco Pallante «mentre, a parole, si autoproclama difensore della nazione intera, nei fatti opera a smaccato beneficio soltanto delle parti “amiche”, favorendo l’ingiustizia tributaria, ammiccando all’evasione fiscale, sostenendo le regioni già ricche, dimenticando la sicurezza sui luoghi di lavoro, aumentando le occasioni di sfruttamento, propugnando l’autoritarismo nei confronti dei più giovani, contrapponendo studenti meritevoli e immeritevoli, operando per la privatizzazione della sanità, annullando le politiche per la casa, reprimendo l’immigrazione con la negazione di ogni umanitarismo, osteggiando i diritti civili vecchi (la libertà di associazione) e nuovi (la libertà di autodeterminazione della propria sfera sessuale e vitale)» (https://volerelaluna.it/commenti/2022/12/19/meloni-la-retorica-della-nazione-e-il-neoliberismo-autoritario/). Inutile insistere oltre data l’evidenza dei fatti, pur minimizzati – ed è un ulteriore segnale della deriva che stiamo vivendo – dall’establishment politico, mediatico e culturale.

È in questo contesto che sta arrivando il nuovo anno. Non arriverà – è facile prevederlo – l’anno evocato, tempo fa, da Lucio Dalla in cui «sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno» e «ci sarà da mangiare e luce tutto l’anno». Sarà, al contrario, un anno difficile nel quale le tendenze emerse nel 2022 proseguiranno e si consolideranno ulteriormente. Eppure non è consentito cedere alla rassegnazione e allo sconforto. Le difficoltà e la regressione che stiamo vivendo non sono ineluttabili ma frutto di scelte e di comportamenti individuali e collettivi. In una parola, di una cultura. A qualcuno potrà sembrare strano ma, negli anni a venire, lo scontro sarà sempre più sul piano culturale e comportamentale, cioè là dove si annidano i presupposti e le motivazioni delle scelte economiche, politiche, sociali, ambientali. E, qui, nella grande storia, facciamo capolino noi con la nostra piccola storia. Piccola ma importante. Cosa può fare in questo contesto una realtà come Volere la Luna? La strada è tracciata da tempo: «proporsi quello che può sembrare impossibile a molti, ma che in realtà dovrebbe essere normale: cambiare radicalmente il proprio modo di essere, di pensare, agire, cooperare e aggregarsi, tenendo fermi i valori di riferimento di un solidarismo radicale. Il mondo è cambiato, è ora di cambiare noi stessi. E il nostro modo di stare insieme. A cominciare da tre obiettivi primari: contrastare le diseguaglianze, promuovere ma soprattutto praticare forme di partecipazione solidale, favorire la rinascita di un pensiero libero e critico. Cioè non limitarsi a proclamare i propri valori, ma praticarli concretamente, con azioni positive quotidiane, creazione di occasioni di prossimità, di spazi, anche limitati, di relazione, di strumenti di comunicazione aperti e critici» (dallo statuto di «Volere la luna»). Si tratta di consolidare quegli obiettivi, di allargare la nostra comunità a tutte e tutti coloro che vorranno continuare a sostenerci in questo percorso difficile ma affascinante, di creare alleanze e collaborazioni ovunque possibile. Basterà? Non nei tempi brevi, ma a medio termine contribuirà ad avviare cambiamenti significativi. L’importante è tenere la barra dritta, non accettare aggiustamenti e compromessi al ribasso e continuare, nonostante tutto, a volere la luna.