UN FIORE CRESCE di Lino DiGianni

Un fiore cresce
Un fiore cresce di nascosto
una lingua si impara piano
il viaggio è nel cammino
Pensavano di difendersi dai Mori
costruendo Muri
hanno inquinato le fonti d’acqua
privatizzato i semi
convinto le persone a mangiare cibo precotto
e perdere tempo dietro la chiacchiera da scatolette
spostandosi in scatole di latta come fossero carne simmenthal
Un fiore cresce di nascosto
una lingua si impara piano
il viaggio è nel cammino
Sbocceranno nuove speranze
chi coltiverà la terra chi imparerà i codici per sbloccare i cervelli
chi si accorgerà della saggezza degli animali
umili pazienti intelligenti che ci accolgono
tra di loro
chi insegnerà a suonare uno strumento
per evitar la guerra
chi colorerà nuove scatole matrioska per
metterci una sorpresa
chi inventerà un nuovo vocabolario traducendo la parola
“straniero” con la parola” amico”
chi scriverà poesie su carta fragilissima
che si dissolverà al vento nel giro di un giorno
come un mandala collettivo, pieno
di gentilezze
chi modificherà i confini, soprattutto quelli
della propria mente
fino a sentirsi cittadino del mondo
dove tutto il mondo è Paese
cittadini spaesati Unitevi!
chi tramanderà le canzoni
di Georges Brassens
Confidiamo nei nuovi bimbi, figli di amici
che spingeranno più in alto i loro cuori
sulla “calcinculo” della vita!

Il canto del merlo di Lino DiGianni

Il canto del merlo (lino di gianni)
Dovessi indicare a un plotone
di formiche la direzione di marcia
per lavorare insieme
non saprei
Dovessi comandare una coppia
di merli al trillo rallegrante
per una giornata scaramantica
non saprei
Qui invece tutti, al più piccolo
segno di potere, comandano
esercitano sugli altri
la cinica supremazia del loro
rapporto di forza
Allora è giusto disporsi
al sole messi di traverso,
affinchè l’ombra proiettata
sia minima
Mi piace l’aria, le nuvole
il vento
senza che nessuno comandi
a quale orari
espormi

I Favoriti della Luna di Lino Di Gianni

I Favoriti della Luna
Liberi nei prati di città
i bambini giocavano
con palle di pezza
mentre attorno
vigorosi braccianti
del Sud del mondo
venivano sfruttati
Commisero l’errore
di fargli assaggiare
il frutto della bellezza
ciò per cui vale
la pena di vivere
senza il falso dio del profitto
Era una generazione di giovani
favoriti dalla Luna
vissero la stagione
con coraggio e speranza
Si liberarono le donne
e fu quella, la Fortuna
Vennero inseguiti e
catturati uno a uno
Non perdonarono mai loro
di aver rivolto, per una volta
lo sguardo verso la Luna
Lino Di Gianni 31 Marzo 2023

Homo… sapiens? di Piergiorgio Longato

Homo… sapiens?

 

 

“Sei ancora quello

della pietra e della fionda,

uomo del mio tempo”:  *

così il poeta

a rovine ancora

fumanti,

tra file di muri

sbrecciati,

all’ombra di mucchi

di morti

dovuti all’immane

Secondo Grande

Macello…

 

E con i miasmi

ancora letali

e ancora sospesi

nei cieli orientali

dell’orrido e vile,

satanico fungo

che scaglia con forza

l’umana congerie

sull’orlo del nulla;

 

e con negli occhi

ancora l’orrore

che si sprigiona

dalla visione

di diafani corpi

che vagano spersi,

quasi fantasmi

a stento rimasti

nel mondo dei vivi.

 

Sei ancora lì,

cocciutamente

fermo e convinto

di dominare

le belluine,

potenti pulsioni

di sopraffazione

e ubiquo dominio

con l’incosciente,

folle maneggio

di ferali congegni

da fine dei tempi.

 

Sei ancora lì

uomo bianco ricco

e occidentale,

potente wasp  **

che non compone

liti e conflitti

ma annichilisce

e annienta feroce

chi interferisce

ed alza la voce.

 

Sei ancora lì,

nel mitico West

dove i cattivi

diventano buoni

e gli invasori

sono “dei nostri”:

bianchi di pelle

con canne fumanti

a sterminare

nativi e affini

dai musi un po’ rossi …

 

Sei ancora e sempre lì,

incontinente

nella tua brama

di controllare

e di possedere

flussi e risorse

per crapulare

e gozzovigliare

sopra le bocche

secche di cibo

e di bevande

di troppi umani

senza domani.

 

E sei ancora tu,

avido impenitente,

ingordo e sprecone,

armi e divise

ovunque schierate

per mantenere

stili di vita

che Pachamama  ***

non può sostenere.

 

E sei ancora tu,

sordo e cieco

dinanzi ai rivoli

di gelide rugiade

che caracollano

rassegnate ed esangui

lungo  dorsi irrigiditi

di miliardi di corpi

attoniti e spauriti

dall’ormai possibile,

globale cataclisma.

 

E sei proprio tu,

cascame  nefasto

dei tempi infausti

del freddo conflitto,

e di spessi colbacchi

indossati a braccetto

del sempre impunito

ottantenne nostrano,

tu, despota truce

dagli occhi di ghiaccio.

 

E sei proprio tu,

mendace retore

degli umani diritti

e di libertà

ad abbaiare,  ****

premeditato,

sull’uscio del grande,

immenso paese,

ottenebrato

dal tuo delirio

d’onnipotenza.

 

L’uomo di scienza

tra i grandi di sempre

pare che un giorno

-quale presagio

di oscuri domani –

abbia avvertito

genti e sodali

che il quarto conflitto

di portata globale

con pietre e bastoni

si sarebbe svolto:

 

fermati adesso,

uomo del mio tempo,

non indugiare,

non massacrare

vite culture

saperi speranze,

per una volta

abbassa la cresta

e cancella per sempre

dal tuo orizzonte

il necrotico motto

del prepara la guerra

se vuoi la pace:

 

“La tua scienza esatta

persuasa allo sterminio”  *

non ti permette

piu’

di dar seguito

a tale abominio,

uomo del mio tempo,

e i tuoi figli devono

“dimenticare i padri

e le nuvole di sangue”  *

per non soccombere,

uomo del mio tempo.

 

Note.

 

*         “Uomo del mio tempo”  di Salvatore Quasimodo,  1946

**       Acronimo:  White Anglo-Saxon Protestant”.

***     Madre Terra in lingua quechua.

****   Riferimento ad una frase di papa Francesco pronunciata nel  mese di maggio del 2022.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

6

Abbracci

Abbracci
Non si usano quasi più, gli abbracci
Non quelli scontati, fatti tanto per fare
Non quelli dovuti, per buona educazione
Gli altri
Quelli occasionali, che nascono
come treni in partenza
Che incontrano mondi, fogliame,
sguardi che si spostano
Che i miei capelli
e i tuoi, capelli
Che gli occhiali, oddio,
nel taschino
Non si usano quasi più, gli abbracci
tra persone che si conoscono appena
eppure hanno gli stessi sguardi
smarriti nei particolari
A volte un abbraccio arriva,
a volte un abbraccio parte
Poi magari si dimenticano
(così è la vita, se vi pare)
Lino Di Gianni 25/1/2020

dall’album di Lino Di Gianni

L’ insostenibile leggerezza
In ogni relazione amorosa
c’è un momento poetico
in cui seduci te stesso con
una musica immaginata
È la costruzione della quotidianità
che richiede la caparbietà
dell’ allodola per il nido
la fragilità dei materiali
e la fiducia
nella visione del volo
Se cedono le ali
il gorgo cancella
anche il passato
lino di gianni. 9 Novembre 2021
Lino Di Gianni è nato a Torino, dove vive. Ha insegnato 20 anni nelle scuole elementari delle barriere operaie. Da diciassette anni insegna agli adulti di lingue e paesi diversi. Pubblicazioni: due raccolte di poesie con Feaci Edizioni e due libro di racconti:
Carlin (lotte operaie in bicicletta). Edizioni ilmiolibro.it
In Villa nel cartone Edizioni ilmiolibro.it

Beni comuni o beni privati ? di Ezio Boero

Un quartiere di periferia alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso. Una piazza alberata. Qualche passerotto canticchia allegro sui rami. Bambini giocano a pallone sull’erbetta. Un gruppo di vecchiette fanno la maglia sedute all’ombra. Guardano sorridenti gli approcci di due innamorati seduti su una panchina discosta.

Una pallonata colpisce il cesto dei gomitoli. Si levano nell’aria improperi che sollevano l’attenzione dei vecchietti che giocano a carte, separati dalle donne. Dalla piola escono avventori, col bicchiere di barbera in mano, che disprezzano l’acqua della fontanella che fa bella mostra di sé sulla piazza. Anche dalla sede di Partito affacciata sulla piazza escono alcuni militanti che stanno scrivendo un volantino sulla nuova biblioteca da realizzare nel rione. Poi altri, che, nel cortile sul retro della stessa sede, giocavano a bocce.

Le voci si chetano quando arriva un furgone che scarica transenne. Un organizzatore di feste incravattato spiega ai curiosi che la piazza sarà chiusa per due settimane per una festa imprecisata: “non preoccupatevi: lasceremo tutto pulito e doneremo anche una nuova panchina al Comune”. Tutti i precedenti protagonisti della vicenda si assembrano attorno al promotore dell’iniziativa, rivendicando lo spazio pubblico che non deve essere impedito alla frequentazione. Iniziano telefonate verso interlocutori istituzionali imprecisati. Le transenne infine sono ricaricate sul camion. La nuova panchina l’installerà il Comune senza attendere quella donata dal privato. La festa, bella o brutta che sia, la faranno altrove. Sul cemento di un parcheggio.

Un grande parco urbano. Terzo decennio del secolo in corso. Prima c’erano fabbriche, di cui è quasi assente la memoria: le attuali Amministrazioni non sentono più propria quella storia.

Nel parco sono stati piantati anche altri alberi rispetto allo scarno progetto originario. Sembrano soldatini allineati come in una parata di regime oppure coltivazioni di pioppi da falegnameria. Non s’odono canti di uccellini. Le panchine sono poche e scisse dagli alberi. La maggior parte di cemento, senza schienale. Nessun anziano vi si siede: sono scomode e al sole. I bambini sono chiusi in alcune aree gioco. Attorno alle quali vorticano salutisti ansimanti che fanno jogging. Due o tre di loro fanno esercizi in un’area appositamente dedicata a un’ attività ginnica dal nome inglese. Gruppetti di ragazzi vagano con uno skateboard alla ricerca dei loro spazi separati.

Quasi nessuno passeggia nel parco. Coppiette di innamorati non se ne vedono. Nemmeno un campetto per tirare quattro calci a un pallone. Forse sono vietate entrambe le cose. Così come riunirsi per sentire un po’ di musica. La musica la fanno i concerti autorizzati. Ed è molto più rumorosa.

La frequentazione del parco è programmata da un Comitato di gestione, un’agenzia di sviluppo territoriale che raggruppa qualche rappresentante del Comune attorno ai “portatori d’interessi”, non del territorio, ma sul territorio. L’idea è stata quella di mettere a reddito il parco, di far sì che non se ne stia lì infruttuoso ad aspettare risorse per la sua manutenzione. Ma procuri soldi, quantomeno ai privati che richiedono di utilizzarlo. La priorità è data a grandi eventi che facciano conoscere la città a livello internazionale e che portino incassi agli alberghi cittadini. Al Comune, pochi proventi: l’Assessore incaricato ha deciso di scontare loro al massimo la tassa di occupazione di suolo pubblico. Ad esempio, un concerto che occupa gran parte del parco per 15 giorni non paga molto di più, al giorno e al metro quadro, di qualche sopravvissuto della partecipazione dal basso dei cittadini che installa sul marciapiede per qualche ora un banchetto di proselitismo delle sue iniziative. Peraltro malviste da ogni colore di Amministrazioni che si succedono, perché estranee ad essere irregimentate oppure ad entrare in una sana competizione di idee per richiedere contributi pubblici.

Sullo sfondo un grande camion parcheggiato in una delle poche aree verdi del parco scarica centinaia di transenne per rinchiuderne una vasta area dove affluiranno nuovamente migliaia di persone. Per entrare tra le transenne e godere dell’evento si pagherà il biglietto. Se una manifestazione fosse gratuita, si pagheranno le consumazioni. Le pochissime fontanelle adiacenti saranno chiuse, a cura dell’azienda dell’acquedotto comunale, per favorire l’acquisto di care bottigliette in plastica di acqua minerale.

I promotori delle manifestazioni che si avvicendano nel parco pubblico esaltano in ogni dove è data loro la parola, sui giornali o in quelle che una volta erano dibattute riunioni elettive, il valore imprescindibile, e pure ecologico, dell’iniziativa privata che fa conoscere la Città nel mondo e porta la loro cultura nelle desolate periferie. Se pur al prezzo risibile dell’occupazione quasi permanente della gran parte dell’area verde, che di pubblico, e di verde, ha solo più il ricordo.

In cambio dei massicci proventi, loro, gli organizzatori/benefattori che vantano il loro amore sperticato all’ambiente e ai cittadini e al loro benessere, doneranno al parco tre panchine e un gabinetto chimico.

Alcuni rappresentanti del Comune hanno lo sguardo commosso e i lacrimoni negli occhi mentre si fanno fotografare di fronte ad una delle panchine sponsorizzate. Adorano questi benefattori e pendono dalle loro labbra mentre questi insegnano loro come devono gestire la cosa pubblica come fosse un’azienda privata.

Qualche anno più tardi sulle schede elettorali non ci saranno più simboli di Partiti ma i loghi di varie aziende, tra cui scegliere quella che prometterà la migliore promozione del territorio a fini di profitto.

EZIO BOERO

Nato a Torino nel 1954. Laureato in Scienze politiche con una tesi su “Politica dei trasporti e sviluppo urbano: il caso torinese”, ha fatto attività politica, sindacale e ambientalista.

ha pubblicato:

– La Spina 3 di Torino. Trasformazioni e partecipazione: il Comitato Dora Spina Tre VisualGrafika 2011
Da Cittadella industriale a Spina 3: una riconversione incompiuta in Postfordismo e trasformazione urbana  IRES Piemonte 2016
Racconti torinesi. Da leggere in tram, StreetLib 2017
Granata. Una storia di resistenza, StreeLib 2019
Racconti inopinatamente decontestualizzati, StreetLib  2019
– Storia sociale e del lavoro degli Stati Uniti, StreeLib del 2019

 

BORGATA PARALOUP

 

BORGATA PARALOUP

Al riparo dai lupi

Borgata Paraloup è un nuovo centro culturale, che offre servizi di carattere culturale, sociale e turistico, dove vivere tutto l’anno un’esperienza di comunità accogliente, solidale e sostenibile.