Il canto del merlo di Lino DiGianni
I Favoriti della Luna di Lino Di Gianni
Homo… sapiens? di Piergiorgio Longato
Homo… sapiens?
“Sei ancora quello
della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo”: *
così il poeta
a rovine ancora
fumanti,
tra file di muri
sbrecciati,
all’ombra di mucchi
di morti
dovuti all’immane
Secondo Grande
Macello…
E con i miasmi
ancora letali
e ancora sospesi
nei cieli orientali
dell’orrido e vile,
satanico fungo
che scaglia con forza
l’umana congerie
sull’orlo del nulla;
e con negli occhi
ancora l’orrore
che si sprigiona
dalla visione
di diafani corpi
che vagano spersi,
quasi fantasmi
a stento rimasti
nel mondo dei vivi.
Sei ancora lì,
cocciutamente
fermo e convinto
di dominare
le belluine,
potenti pulsioni
di sopraffazione
e ubiquo dominio
con l’incosciente,
folle maneggio
di ferali congegni
da fine dei tempi.
Sei ancora lì
uomo bianco ricco
e occidentale,
potente wasp **
che non compone
liti e conflitti
ma annichilisce
e annienta feroce
chi interferisce
ed alza la voce.
Sei ancora lì,
nel mitico West
dove i cattivi
diventano buoni
e gli invasori
sono “dei nostri”:
bianchi di pelle
con canne fumanti
a sterminare
nativi e affini
dai musi un po’ rossi …
Sei ancora e sempre lì,
incontinente
nella tua brama
di controllare
e di possedere
flussi e risorse
per crapulare
e gozzovigliare
sopra le bocche
secche di cibo
e di bevande
di troppi umani
senza domani.
E sei ancora tu,
avido impenitente,
ingordo e sprecone,
armi e divise
ovunque schierate
per mantenere
stili di vita
che Pachamama ***
non può sostenere.
E sei ancora tu,
sordo e cieco
dinanzi ai rivoli
di gelide rugiade
che caracollano
rassegnate ed esangui
lungo dorsi irrigiditi
di miliardi di corpi
attoniti e spauriti
dall’ormai possibile,
globale cataclisma.
E sei proprio tu,
cascame nefasto
dei tempi infausti
del freddo conflitto,
e di spessi colbacchi
indossati a braccetto
del sempre impunito
ottantenne nostrano,
tu, despota truce
dagli occhi di ghiaccio.
E sei proprio tu,
mendace retore
degli umani diritti
e di libertà
ad abbaiare, ****
premeditato,
sull’uscio del grande,
immenso paese,
ottenebrato
dal tuo delirio
d’onnipotenza.
L’uomo di scienza
tra i grandi di sempre
pare che un giorno
-quale presagio
di oscuri domani –
abbia avvertito
genti e sodali
che il quarto conflitto
di portata globale
con pietre e bastoni
si sarebbe svolto:
fermati adesso,
uomo del mio tempo,
non indugiare,
non massacrare
vite culture
saperi speranze,
per una volta
abbassa la cresta
e cancella per sempre
dal tuo orizzonte
il necrotico motto
del prepara la guerra
se vuoi la pace:
“La tua scienza esatta
persuasa allo sterminio” *
non ti permette
piu’
di dar seguito
a tale abominio,
uomo del mio tempo,
e i tuoi figli devono
“dimenticare i padri
e le nuvole di sangue” *
per non soccombere,
uomo del mio tempo.
Note.
* “Uomo del mio tempo” di Salvatore Quasimodo, 1946
** Acronimo: White Anglo-Saxon Protestant”.
*** Madre Terra in lingua quechua.
**** Riferimento ad una frase di papa Francesco pronunciata nel mese di maggio del 2022.
6
Abbracci
dall’album di Lino Di Gianni
Carlin (lotte operaie in bicicletta). Edizioni ilmiolibro.it
In Villa nel cartone Edizioni ilmiolibro.it
Beni comuni o beni privati ? di Ezio Boero
Un quartiere di periferia alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso. Una piazza alberata. Qualche passerotto canticchia allegro sui rami. Bambini giocano a pallone sull’erbetta. Un gruppo di vecchiette fanno la maglia sedute all’ombra. Guardano sorridenti gli approcci di due innamorati seduti su una panchina discosta.
Una pallonata colpisce il cesto dei gomitoli. Si levano nell’aria improperi che sollevano l’attenzione dei vecchietti che giocano a carte, separati dalle donne. Dalla piola escono avventori, col bicchiere di barbera in mano, che disprezzano l’acqua della fontanella che fa bella mostra di sé sulla piazza. Anche dalla sede di Partito affacciata sulla piazza escono alcuni militanti che stanno scrivendo un volantino sulla nuova biblioteca da realizzare nel rione. Poi altri, che, nel cortile sul retro della stessa sede, giocavano a bocce.
Le voci si chetano quando arriva un furgone che scarica transenne. Un organizzatore di feste incravattato spiega ai curiosi che la piazza sarà chiusa per due settimane per una festa imprecisata: “non preoccupatevi: lasceremo tutto pulito e doneremo anche una nuova panchina al Comune”. Tutti i precedenti protagonisti della vicenda si assembrano attorno al promotore dell’iniziativa, rivendicando lo spazio pubblico che non deve essere impedito alla frequentazione. Iniziano telefonate verso interlocutori istituzionali imprecisati. Le transenne infine sono ricaricate sul camion. La nuova panchina l’installerà il Comune senza attendere quella donata dal privato. La festa, bella o brutta che sia, la faranno altrove. Sul cemento di un parcheggio.
Un grande parco urbano. Terzo decennio del secolo in corso. Prima c’erano fabbriche, di cui è quasi assente la memoria: le attuali Amministrazioni non sentono più propria quella storia.
Nel parco sono stati piantati anche altri alberi rispetto allo scarno progetto originario. Sembrano soldatini allineati come in una parata di regime oppure coltivazioni di pioppi da falegnameria. Non s’odono canti di uccellini. Le panchine sono poche e scisse dagli alberi. La maggior parte di cemento, senza schienale. Nessun anziano vi si siede: sono scomode e al sole. I bambini sono chiusi in alcune aree gioco. Attorno alle quali vorticano salutisti ansimanti che fanno jogging. Due o tre di loro fanno esercizi in un’area appositamente dedicata a un’ attività ginnica dal nome inglese. Gruppetti di ragazzi vagano con uno skateboard alla ricerca dei loro spazi separati.
Quasi nessuno passeggia nel parco. Coppiette di innamorati non se ne vedono. Nemmeno un campetto per tirare quattro calci a un pallone. Forse sono vietate entrambe le cose. Così come riunirsi per sentire un po’ di musica. La musica la fanno i concerti autorizzati. Ed è molto più rumorosa.
La frequentazione del parco è programmata da un Comitato di gestione, un’agenzia di sviluppo territoriale che raggruppa qualche rappresentante del Comune attorno ai “portatori d’interessi”, non del territorio, ma sul territorio. L’idea è stata quella di mettere a reddito il parco, di far sì che non se ne stia lì infruttuoso ad aspettare risorse per la sua manutenzione. Ma procuri soldi, quantomeno ai privati che richiedono di utilizzarlo. La priorità è data a grandi eventi che facciano conoscere la città a livello internazionale e che portino incassi agli alberghi cittadini. Al Comune, pochi proventi: l’Assessore incaricato ha deciso di scontare loro al massimo la tassa di occupazione di suolo pubblico. Ad esempio, un concerto che occupa gran parte del parco per 15 giorni non paga molto di più, al giorno e al metro quadro, di qualche sopravvissuto della partecipazione dal basso dei cittadini che installa sul marciapiede per qualche ora un banchetto di proselitismo delle sue iniziative. Peraltro malviste da ogni colore di Amministrazioni che si succedono, perché estranee ad essere irregimentate oppure ad entrare in una sana competizione di idee per richiedere contributi pubblici.
Sullo sfondo un grande camion parcheggiato in una delle poche aree verdi del parco scarica centinaia di transenne per rinchiuderne una vasta area dove affluiranno nuovamente migliaia di persone. Per entrare tra le transenne e godere dell’evento si pagherà il biglietto. Se una manifestazione fosse gratuita, si pagheranno le consumazioni. Le pochissime fontanelle adiacenti saranno chiuse, a cura dell’azienda dell’acquedotto comunale, per favorire l’acquisto di care bottigliette in plastica di acqua minerale.
I promotori delle manifestazioni che si avvicendano nel parco pubblico esaltano in ogni dove è data loro la parola, sui giornali o in quelle che una volta erano dibattute riunioni elettive, il valore imprescindibile, e pure ecologico, dell’iniziativa privata che fa conoscere la Città nel mondo e porta la loro cultura nelle desolate periferie. Se pur al prezzo risibile dell’occupazione quasi permanente della gran parte dell’area verde, che di pubblico, e di verde, ha solo più il ricordo.
In cambio dei massicci proventi, loro, gli organizzatori/benefattori che vantano il loro amore sperticato all’ambiente e ai cittadini e al loro benessere, doneranno al parco tre panchine e un gabinetto chimico.
Alcuni rappresentanti del Comune hanno lo sguardo commosso e i lacrimoni negli occhi mentre si fanno fotografare di fronte ad una delle panchine sponsorizzate. Adorano questi benefattori e pendono dalle loro labbra mentre questi insegnano loro come devono gestire la cosa pubblica come fosse un’azienda privata.
Qualche anno più tardi sulle schede elettorali non ci saranno più simboli di Partiti ma i loghi di varie aziende, tra cui scegliere quella che prometterà la migliore promozione del territorio a fini di profitto.
EZIO BOERO
Nato a Torino nel 1954. Laureato in Scienze politiche con una tesi su “Politica dei trasporti e sviluppo urbano: il caso torinese”, ha fatto attività politica, sindacale e ambientalista.
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