Articoli categoria: Succede in città

Come ti svendo il motovelodromo di Torino

Nella lunga diretta televisiva che da Torino ha inaugurato il Giro d’Italia i commentatori – nell’esaltare le magnificenze della città, come da copione, e le sue tradizioni ciclistiche – non hanno parlato del motovelodromo. Non è un caso: avrebbero dovuto dire che non è più in mano pubblica, ma che è stato ceduto a privati per sessant’anni a fronte del pagamento della misera somma di 350.000 euro: neanche seimila euro all’anno. Ma non solo non è più in mano pubblica in cambio di un tozzo di pane ma ne verrà cambiata completamente la destinazione. La ditta che si è aggiudicata la gara d’appalto infatti vi realizzerà sei campi da padel, un campo da calcio a otto convertibile in una struttura da rugby, campi da beach volley, piscine, piste da bici (ma guarda un po’…), campi di atletica, bar, punti ristoro e spazi espositivi (https://mole24.it/2020/10/28/progetto-per-il-motovelodromo-di-torino-investimento-per-14-milioni/).

Ora: capiamo tutto. Capiamo che Torino per ospitare la furbata delle olimpiadi invernali si coprì di debiti e questi debiti se li porti ancora addosso. Capiamo che si voglia onorarne il pagamento e che si pratichi una politica di austerità. Capiamo tutto ma c’è un limite anche alla comprensione. Partiamo dal presupposto che un motovelodromo, oggi, è una ricchezza inestimabile. Le città che ne sono dotate in Italia si contano sulle dita delle due mani. In particolare, a parte Torino, solo Roma ne ha uno attivo fra le grandi città. Quello di Milano (il Maspes-Vigorelli) non è utilizzato per il suo scopo. Non solo, oggi il ciclismo tira, e tira molto, appunto anche a Torino: pensare di ristrutturare l’impianto in partnership con un soggetto privato, visto che dalla fine dello scorso secolo lo si è lasciata andare in malora, no eh? Oppure, se proprio si voleva metterlo all’asta per lucrare la modestissima somma di seimila euro all’anno, almeno mantenere il vincolo di destinazione dimodoché vi si potessero riprendere solo attività ciclistiche, e si potessero indirizzare al ciclismo agonistico bambini e ragazzi, no, eh? Anche in considerazione del fatto che – tra l’altro – il motovelodromo Fausto Coppi è attualmente la struttura sportiva più vecchia fra quelle ancora esistenti in Piemonte (fu inaugurato il 24 luglio 1920) ed è anche l’unica architettura sportiva superstite dei primi trent’anni del Novecento, tant’è che ha un vincolo della Soprintendenza (https://archistadia.it/viaggio-torino-motovelodromo-storia-architettura/).

La vicenda del motovelodromo purtroppo dimostra ancora una volta la miopia – a voler essere teneri – di una amministrazione. Amministrazione – notate bene – che ha addirittura adottato un Regolamento per il governo dei beni comuni urbani (http://www.comune.torino.it/benicomuni/bm~doc/governo-dei-bcu_391.pdf) e sponsorizzato un Manuale di diritto dei beni comuni urbani. Il tutto nell’ottica, ovviamente, di una loro salvaguardia per il bene della collettività. Ecco come si tutelano, non in teoria ma in pratica, i beni comuni.

La diretta televisiva del giorno 8 maggio ha inquadrato tra l’altro dall’elicottero la struttura del motovelodromo: le sue gradinate, la pista e il campo verde. Tutto questo diventerà solo un ricordo: in cambio di neanche seimila euro all’anno.

Fabio Balocco, nato a Savona, risiede in Val di Susa.

Avvocato (in quiescenza), ma la sua passione è, da sempre, la difesa dell’ambiente, in particolare montano. Ha collaborato, tra l’altro, con “La Rivista della Montagna”, “Alp”, “Meridiani Montagne”, “Montagnard”. Ha scritto con altri autori: “Piste o peste”; “Disastro autostrada”; “Torino. Oltre le apparenze”; “Verde clandestino”; “Loro e noi. Storie di umani e altri animali”; “Il mare privato”. Come unico autore: “Regole minime per sopravvivere”; “Poveri. Voci dell’indigenza. L’esempio di Torino”; “Lontano da Farinetti. Storie di Langhe e dintorni”; “Per gioco. Voci e numeri del gioco d’azzardo”. Collabora dal 2011, in qualità di blogger in campo ambientale e sociale, con Il Fatto Quotidiano.

L’Unione Culturale Antonicelli organizza la proiezione del film “IMPA, La Città”

L’Unione culturale Franco Antonicelli, in collaborazione con la Rete Italiana Imprese Recuperate e Comunet-Officine Corsare, ha organizzato il 4 maggio la proiezione del film “IMPA, la città”, di Diego Scarponi, presso il Piccolo Cinema di via Cavagnolo 7.

Purtroppo l’evento non ha avuto luogo causa l’incompatibilità della struttura preposta con le norme anticovid ed è stato quindi rinviato.

Che cos’è IMPA? La più antica fabbrica “recuperata” di Buenos Aires, occupata nel 1998 e gestita direttamente dai lavoratori per impedirne il fallimento; un modello non solo di produzione, ma anche di società, con la sua radio, una televisione comunitaria, una scuola, e numerose attività culturali, sociali, sportive ed artistiche; un’utopia realizzata, in breve, che si ispira ai principi di autorganizzazione e autogoverno, in nome della giustizia sociale.

Poche idee e ben confuse della Regione Piemonte sulla Sanità pubblica

Poche idee e ben confuse della Regione Piemonte sulla Sanità pubblica

 

La Regione Piemonte ha presentato al Governo il suo PNRR – Piano di Resilienza e Ripresa per  27 miliardi di euro, dei quali solo  € 165 milioni destinati alla sanità regionale, ripartiti con criteri a dir poco strampalati, ad es:

€  119.000.000 alla sola provincia di Vercelli

€    10.000.000 a “poli sanitari attrezzati” nei centri sciistici del cuneese,

€      2.600.000  a  un centro di eccellenza non meglio specificato nel Comune di San Nazzaro Sesia, in provincia di Novara

€         950.000  a  un nuovo pronto soccorso in un edificio industriale abbandonato nel Comune di  Veglio, in provincia di Biella

   €     0,00  –  diconsi zero virgola zero  euro – alla Città di Torino, v.   https://www.regione.piemonte.it/web/sites/default/files/media/documenti/2021- 04/progetti_recovery_plan_piemonte_per_provincia.pdf

 

Non un euro di investimenti a Torino nella medicina di territorio per la quale il PNRR di Draghi stanzia 2 (due)  miliardi di euro per 1.288 Case della Comunità (ex-Case della Salute) da realizzare entro la metà del 2026.

Entro il 31 ottobre 2021 un decreto ministeriale definirà il modello organizzativo delle Case della Comunità secondo linee d’ indirizzo già indicate nel PNRR stesso.

A queste linee corrisponde il  Progetto per “Il Maria Adelaide che Vogliamo” predisposto da medici, tecnici , sindacalisti e abitanti dei quartieri Aurora Rossini Vanchiglia v. http://bit.ly/3ltQYdW.  Un contributo che offrono all’Assessore regionale alla Sanità il quale però da mesi non si degna nemmeno di rispondere alla loro richiesta di incontro.

 

La Regione Piemonte blatera sulla priorità alla medicina di base,

ma sta distruggendo quel che rimane della sanità pubblica

 

In più di un anno dallo scoppio della pandemia avrebbe ben potuto trasformare il Maria Adelaide e l’Einaudi in Case della Salute, e rimediare alla carenza di servizi sanitari pubblici di territorio per limitare e isolare i focolai di contagio da Covid-19 e procedere alle vaccinazioni. Invece ha messo la nuova etichetta “Casa della Salute” sul vecchio Poliambulatorio di Lungo Dora Savona rimasto lo stesso di 20 anni fa e sprecato centinaia di milioni alle OGR, al Valentino, alle cliniche, laboratori e RSA private per alleggerire gli ospedali pubblici, i pronto soccorso, e togliere i malati dai corridoi, pianerottoli, perfino dalla chiesa interna del San Luigi di Orbassano.

Piuttosto che spendere per la sanità pubblica, arriva a finanziare una campagna di vaccinazione nel centro commerciale Basic Net della Robe di Kappa in corso Regio Parco

 

Quello della Regione Piemonte NON È un Piano di Resilienza e Ripresa: è chiaramente un Piano di eliminazione del nostro sistema sanitario pubblico a favore del profitto privato

 

Ci risulta che una sola Consigliera comunale di Torino abbia finora sollevato il problema. Ci auguriamo che altri la seguano non solo  nell’assemblea torinese ma anche in quella regionale.

https://lasocietadellacuratorino.wordpress.com/2021/04/25/recovery-plan-del-piemonte-poche-idee-e-ben-confuse-della-regione-sulla-sanita-pubblica/

26 aprile 2021:https://lasocietadellacuratorino.wordpress.com

NO a un Recovery Plan per riprodurre l’esistente

Sì a un Recovery Planet per un’alternativa di società

Lunedì 26 aprile 2021 in contemporanea con il sit-in di Montecitorio anche Società della Cura di Torino afferma:

NO a un Recovery Plan per riprodurre l’esistente.
Sì a un Recovery Planet per un’alternativa di società.

Per vedere la diretta da Montecitorio ore 15,30:
https://www.facebook.com/events/1038176026591286

Sabato 24 Aprile si è svolta una bella iniziativa per difendere il pratone di Via Madonna Delle Salette

Il 24 aprile stato un bellissimo pomeriggio al pratone di via Madonna della Salette, per l’iniziativa VIVA IL PRATO, VIVI IL PRATO, molto partecipata.
E’ stato piantato collettivamente un piccolo ciliegio, di cui gli abitanti si prenderenno cura. Sono stati appesi agli alberi delle tavole con il nome della specie e le caratteristiche principali.
Molto entusiasmo hanno suscitato la caccia al tesoro e il laboratorio di semi per bimbe/i organizzati da Lorenzo Savio.
Si sono esibiti con la loro eccezionale musica tradizionale ABOU SAMB cantante e percussionista degli Afrodream e MUSTAPHA BOUDINAR (chitarra), che ha anche letto alcuni brani del libro che racconta la sua storia, “Le chiavi di casa”.
Lucilla Barchetta, che ha presentato il suo libro “La rivolta del Verde. Nature e rovine a Torino”.
Sono intervenuti: Angelo Boccalatte (Anpi), Alberto Righetti (Amici di Via Revello), Theresa Van Cherry (pittrice), Renato Ramello (NO Tav Torino).
Indispensabile l’apporto di tutta la RESIDENZA COLLETTIVA LA SALETTE.

I prati di Parella sono nascosti, non visibili da chi sfreccia veloce in corso Marche e corso Francia, poco conosciuti da chi non è della zona, grandi spazi liberi in cui la natura è padrona e che accolgono gli abitanti regalando una pausa dal traffico, dai palazzi soffocanti, dalle piazze commerciali.

Da quasi due anni il Comitato Salviamo i Prati organizza presidi e iniziative per cercare di salvare dalla cementificazione i lotti del Comune, in particolare il prato grande su Via Madonna della Salette, che l’amministrazione vorrebbe destinare alla realizzazione di uno studentato per le Universiadi 2025 (che sostituisce, nei progetti del Comune, la vecchia idea del Palavolley).

Gli appelli dei cittadini (abitanti di Parella e di altre zone), che chiedono di salvare il pratone e di farne un parco, non sono mai stati accolti. Anche i primi dubbi del Consiglio Comunale manifestati stralciando il pratone dal piano di dismissioni (ma solo per il 2020) non hanno intaccato le intenzioni dell’assessore all’urbanistica Antonino Iaria, che punta ad incassare gli oneri di urbanizzazione e facilitare l’operazione ai costruttori.

Ci si chiede quindi quale sia il valore delle centinaia di pagine del Piano Strategico dell’Infrastruttura Verde (approvato un mese fa) in cui il Comune si impegna a conservare e rafforzare gli ecosistemi della città, della Dichiarazione dell’emergenza climatica e ambientale approvata nel 2020, della Mozione a supporto della proposta di Legge nazionale che prevede l’arresto del consumo di suolo, approvata in Consiglio l’11 aprile.

Torino non ha affatto intenzione di fermare il consumo di territorio. I terreni vergini in piena terra, come quelli di Parella, per chi ci governa non vanno salvati ma sfruttati. Anche se di suolo quasi non ce n’è più. Anche se la città ha 10.000.000 mq di aree dismesse.

Le persone che vogliono salvare il pratone di Via Madonna della Salette da quasi due anni si stanno organizzando, riappropriandosi del pratone, imparando a conoscere meglio la vita segreta che lo abita, prendendosene cura.

Il Comitato invita tutti le cittadine e i cittadini all’inziativa di Sabato 24 aprile. Ci saranno musica, letture, giochi per i più piccoli (caccia al tesoro e laboratorio di semi), pulizia del prato. Ci si confronterà anche con Lucilla Barchetta, giovane antropologa, che presenterà il suo libro “La rivolta del verde. Natura e rovine a Torino”.

Difendiamo il patrimonio di tutte/i, preserviamolo per le prossime generazioni.

Sabato 17 aprile manifestazione indetta da Non Una Di Meno, per tutelare il diritto all’aborto libero, sicuro, accessibile

La Regione Piemonte, in piena emergenza Covid19, ha emanato un bando che consentirà alle organizzazioni anti-abortiste di proporre la loro propaganda ideologica all’interno di ospedali e consultori. Conosciamo bene le storie delle donne che sono state costrette a svolgere IVG a contatto con queste organizzazioni: sono storie di mortificazioni, difficoltà, traumi psicologici che ci ricordano come questi luoghi debbano rimanere liberi dalla propaganda delle associazioni anti-abortiste. Continueremo a lottare per un aborto libero, sicuro, gratuito e per una salute all’altezza dei nostri bisogni.

L’IVG, sebbene formalmente garantita, in Piemonte ed in tutta Italia è ancora oggi una lotta contro il tempo, contro la burocrazia e contro il personale medico obiettore di coscienza.

Non Una Di Meno 17/04 /2021

Per questo vogliamo rispondere e contrattaccare insieme: vogliamo difendere i diritti che abbiamo, ma vogliamo anche molto più di quanto contenuto nella legge 194! Vogliamo l’accesso gratuito alla contraccezione ed alle cure ginecologiche di ogni genere; l’accesso davvero sicuro, gratuito e garantito all’interruzione volontaria di gravidanza; vogliamo l’abolizione dell’obiezione di coscienza e la garanzia di accesso all’IVG in ogni ospedale; vogliamo un’educazione sessuale nelle scuole per una sessualità libera e consapevole; vogliamo consultori accessibili, accoglienti e finanziati dal pubblico, che non si occupino solo di cura delle sintomatologie, ma siano davvero luoghi a nostra misura ed aperti a tutte le età.

Non Una di Meno –  rete femminista, transfemminista e antipatriarcale

L’assessore Marrone-animazione di Pietro Perotti

Elezioni comunali. Sondaggio IPSOS commissionato dal PD pubblicato su Repubblica

A Torino il centrosinistra è sotto rispetto al centrodestra che avrebbe un vantaggio di due punti. Una forbice del 40-41% contro il 42-43% del centrodestra. Per vincere al primo turno è fondamentale l’alleanza con il Movimento 5 Stelle di Conte al primo turno, che il sondaggio di Ipsos commissionato dal Pd nazionale dà piuttosto alto, molto più delle previsioni locali, al 13%.Se non ci fosse l’accordo al primo turno resta la sfida al ballottaggio con tutte le incognite del caso. Il Pd è forte, al 30%, la Lega è in in discesa al 18% e Fratelli d’Italia in ascesa, al 12%.

Questo il quadro fotografato dal sondaggio che il responsabile Enti locali del Pd Francesco Boccia sta portando a Torino, dove cominceranno i colloqui con i rappresentanti del Pd locale, dai consiglieri comunali ai segretari provinciale e regionale. Il sondaggio rivela un dato piuttosto significativo, il giudizio sui torinesi interpellati sull’amministrazione di Chiara Appendino non è negativo come appare dalla rappresentazione comunicata dal Pd locale e dalle forze del centrosinistra: la maggioranza, il 55% esprime una valutazione che va da pessimo a insufficiente, ma il 45% dà un voto che oscilla tra il sufficiente e l’ottimo. Una situazione molto lontana dal “disastro” raccontato in questi anni.

Nessuno dei candidati sfonda. il livello di notorietà più alta è del rettore del Politecnico Guido Saracco, con un indice attorno al 39 per cento. Poi Mauro Berruto seguito da Stefano Lo Russo (attorno al 30), Enzo Lavolta e Gianna Pentenero. Altri indicatori sono stati testati nel sondaggio, dalla capacità di amministrare alla capacità di comunicare. Neppure Paolo Damilano ha al momento un indice di notorietà alto, il 40 per cento, appena un punto sopra il rettore del Politecnico. (…)

Estratto dall’articolo di Sara Strippoli su “Repubblica” edizione locale del 15/04/2021

per approfondire ecco il PDF della IPSOS:

torino elezioni comunali IPSOS

Rsa Servais: prosegue l’alleanza “malata” tra profit e no-profit? di Andrea Ciattaglia

In quest’anno e più di pandemia gli abitanti di Parella, popoloso quartiere nella periferia ovest di Torino, hanno visto dalle loro finestre crescere una contraddizione scandita dalle gru in fervente attività. Mentre le Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) affrontavano, meglio subivano con una strage di migliaia di malati, la prima e la seconda ondata del Covid, mentre si dimostrava l’assoluta impreparazione e la mancata copertura sanitaria di queste strutture (pur destinate a pazienti malatissimi e non autosufficienti e tutte accreditate con il Servizio sanitario per svolgere funzioni in nome e per conto dell’ente pubblico), mentre le porte delle Rsa rimanevano sprangate a qualsiasi contatto umano tra degenti e loro parenti (annullando qualsiasi relazione umana) di fronte alle case degli abitanti di Parella cresceva la Rsa Servais: 240 posti letto (più dell’intero ospedale Martini) nel terreno all’angolo con via Bellardi pronti a ricoverare malati non autosufficienti a tariffe di oltre 3.000 euro al mese. Metà a carico dell’Asl, per i pazienti in convenzione; tutte sulle spalle dei clienti per gli altri.

A gestire la struttura, di prossima apertura, il gruppo Gheron, tristemente noto a Torino perché gestore delle due strutture Massimo D’Azeglio e Chiabrera (240 posti totali) nelle quali tra marzo e aprile del 2020 si registrarono decine di morti per Covid, ammissioni di pazienti positivi trasferiti dagli ospedali – secondo quanto permesso dalla scellerata delibera regionale del 20 marzo – che inevitabilmente, secondo i rilievi della Procura che indaga per «epidemia colposa», finirono per contagiare gli anziani malati già degenti e per determinare numerosi decessi.

Il benestare alla realizzazione della Rsa Servais venne dato nel 2018 dall’Asl Città di Torino, via libera assunto e avallato da una determina regionale ancora sotto l’amministrazione di centro-sinistra guidata da Sergio Chiamparino. Sul fatto che l’area potesse essere destinata anche alla costruzione di una Rsa hanno inciso le politiche urbanistiche del Comune dell’ultimo ventennio. Dal 2000 in avanti Palazzo Civico ha, di fatto, prima premiato i centri commerciali e poi le Rsa, insediamenti che condividono la caratteristica di generare oneri di urbanizzazione a favore delle casse del Comune, utilizzati per chiudere i bilanci dell’Ente.

Da almeno dieci anni è chiaro ai grandi investitori immobiliari che le Rsa sono un business assolutamente redditizio, che coinvolge più attori, sia del settore privato profit, sia di quello no-profit. Il ruolo di pagatori a piè di lista, praticamente senza alcuna possibilità, e in molti casi “volontà”, di controllo sulla qualità del servizio erogato, viene riservato all’ente pubblico (tutti noi) o ai privati cittadini malati (e le loro famiglie).

Il caso della Rsa in questione è emblematico della saldatura profit/no-profit. Due settori dell’economia per nulla alternativi, ma cooperanti in un sistema in cui la tutela della salute dei cittadini – dei più malati tra tutti i malati – è messa a reddito e deve generare profitto.

Nel caso della Rsa Servais il costruttore che ha rimesso a nuovo l’edificio, una ex sede direzionale, è Carron, colosso mondiale dell’edilizia e delle infrastrutture (portafoglio lavori al 31 dicembre 2019: 913 milioni di euro), che tra pochi mesi farà partire un altro cantiere a Torino per trasformare il «Lingottino» (l’ex Fabbrica pianoforti di corso Racconigi) in due Rsa da 120 posti affiancate, sul modello Chiabrera/D’Azeglio.

Il gestore di via Servais è il già citato Gheron (profit) titolare della convenzione con l’Asl/Regione che garantisce le entrate delle quote sanitarie per i pazienti in convenzione e il permesso di costruire una Rsa su un’area destinata a generici servizi; ma – se il modello della Rsa Servais replicherà quello delle altre strutture Gheron in tutta Italia – l’effettivo svolgimento delle mansioni all’interno della struttura sarà affidato alla cooperativa sociale (Terzo settore/no profit) Med Services, cooperativa di servizi alla persona che in base alla legge esercita «un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale». È a lei che fanno capo le assunzioni del personale, i rapporti con i professionisti esterni a partita Iva e persino il rapporto diretto con gli utenti/clienti giacché il personale con il quale avranno a che fare i ricoverati e i parenti fa capo alla cooperativa.

A partire da questo esempio, per nulla raro nella filiera di gestione di una Rsa, si può ben constatare che il no-profit si ritaglia uno spazio al servizio del profit, costituendone la faccia presentabile e spendibile per ricavarne tutti i benefici possibili, in una filiera in cui comanda chi «sta sopra» con l’obiettivo di fare utile. Nei fatti, la gestione delle Rsa vede coagularsi gestori di grandi o grandissime (internazionali) dimensioni che operano da soli (facendo cartello) o in una sinergia profit/no profit non tanto per arrivare a commesse più grandi, ma per sfruttare, in chiave di profitto, i vantaggi delle cooperative, tra le quali ci sono le più basse garanzie e condizioni contrattuali per i dipendenti.

 In questo contesto, quanto sono credibili le prese di posizione – a più riprese rilanciate da rappresentanti del Terzo settore e politici – sulla «differenza strutturale» del no-profit rispetto al privato che orienta la sua attività al profitto? Regge, alla prova dei fatti, la difesa del no-profit (e dei conseguenti aiuti economici ad esso indirizzati) motivata con una effettiva «difesa delle piccole strutture» e delle realtà senza scopo di lucro? L’esempio di Torino – e in generale del Piemonte, dove la Regione prevede di aumentare di 6mila unità i posti autorizzati in Rsa, 2.500 solo a Torino, che è facile prevedere verranno gestiti in prevalenza da grandi gruppi economici – dice che non è così e che le vittime dell’alleanza perversa tra profit e no-profit sono i malati non autosufficienti, utenti/clienti senza possibilità di alternativa.

Prati Parella

Sabato 13 marzo si è tenuta una iniziativa a cura del Comitato Salviamo i prati che si è costituito ormai da tre anni, col fine concreto di salvare dalla cementificazione tutta l’area che si estende per oltre 11.000 mq, in via Madonna Delle Salette di Borgata Parella; un polmone verde in piena periferia, spazio prezioso per la qualità dell’ambiente e della vita degli abitanti di una zona densamente popolata, già caratterizzata da varie problematiche di degrado urbano come testimoniano le fabbriche dismesse in attesa di demolizione o di riqualificazione e la comprovata presenza di amianto nei pressi dell’Istituto tecnico Carlo Levi, adiacente al prato e da anni in attesa di bonifica.

E’ stata un’ottima occasione per intrecciare relazioni con varie realtà presenti (Extinction Rebellion, Greenpeace, Bucanieri, Riapriamo il Maria Adelaide, Bertolla, Edera squat, Medici per l’ambiente…).

E’ intervenuto Fabio Balocco, autore di alcuni notevoli articoli sul nostro sito, che ha ricordato il valore non monetizzabile della natura.

Vorelelaluna ha contribuito con alcune creazioni di Pietro Perotti, infallibili nel suscitare interesse e curiosità, soprattutto presso i più giovani e distribuito alcuni volantini che informano dei nostri sportelli, rivelatisi utili, a nostro giudizio, soprattutto per la presenza della Residenza Salette, un palazzo affacciato sul prato, inizialmente autogestito da migranti richiedenti asilo o in attesa di permesso di soggiorno, ora coordinati dalla cooperativa ORSO con il contributo della parrocchia di Maria Riconciliatrice.

Alcuni degli ospiti hanno interagito con la manifestazione preparando il tè per i convenuti e intervenendo per esprimere il timore che l’eventuale costruzione di strutture ad uso abitativo al posto del prato possa creare tensioni tra residenti e immigrati.

Su questo aspetto non secondario relativo alla questione dei Prati Parella sarebbe utile portare avanti qualche osservazione più approfondita.

Territori

Torino: le elezioni si avvicinano e la città è ferma

di Jacopo Ricca

A Torino non siamo mai usciti da Gran Torino. Nel senso dello slogan che guidò la campagna elettorale vincente di Piero Fassino del 2011, ma soprattutto nel senso del bellissimo film di Clint Eastwood, elogio dei vecchi. Esattamente dieci anni fa in questo periodo si facevano sempre più forti le pressioni perché una parte, la più strutturata ma anche composita, della generazione dell’Onda si assumesse la responsabilità di sostenere un percorso elettorale e una candidatura nel campo delle primarie del centrosinistra. Una prospettiva che, personalmente, non condividevo ma che ritenevo fosse l’orizzonte cui puntare nei dieci anni successivi. Eppure al termine di questo decennio traumatico e, in fondo, reazionario, di quella spinta è rimasto ben poco. E così a otto mesi dalle elezioni comunali del 2021, con alle spalle vittorie del Movimento 5stelle e della destra, ci troviamo ancora a Gran Torino. E non è una questione anagrafica. O meglio, non solo.

Tra i nomi proposti ci sono anche quelli di quarantenni e cinquantenni rampanti, a fianco di splendidi settantenni (che peraltro sono più di sinistra dei più giovani), ma non di programmi, progetti e visioni della città. La spinta egualitaria, ambientalista, che puntava a una riattivazione dell’ascensore sociale, dell’integrazione nella città figlia dei valori della Resistenza, al superamento della supremazia del privato sul pubblico, è relegata a funzione ancillare dei candidati di centro cui un trattino sempre più sbiadito vorrebbe aggiungere la parola sinistra. L’elogio dei vecchi è tutto nelle prospettive politiche e programmatiche, difficili per la verità da leggere oltre la cortina di fumo delle guerre di corrente. Ma un dato di fatto c’è: le istanze di sinistra, magari minoritarie in termini elettorali ma fortemente rappresentate in termini di eletti, espresse dal successo di Chiara Appendino e del Movimento 5stelle, sono costantemente irrise dai rappresentanti del Partito Democratico che si propongono come candidati per il 2021. E l’opposizione ai 5stelle proposta in questi anni in consiglio comunale, se si esclude l’encomiabile lavoro di Eleonora Artesio, è stata tutta basata su un lento scivolamento a destra.

Le responsabilità non si possono addossare solamente al Partito Democratico che, a Torino ancora più che a Roma, è tuttora fatto della stessa sostanza della terza via blairiana nei contenuti e in un approccio veterocomunista nelle strategie. Dagli anni Settanta a oggi, tranne poche parentesi, un gruppo di potere e intellettuale ha avuto in mano le redini dei destini della città, facendo sempre i conti e, spesso, venendo a patti con quell’autentico contropotere (o forse sarebbe meglio dire unico e autentico potere) che era la galassia Fiat. E ancora oggi sembrano contare maggiormente le rappresentazioni di interessi di parte, più o meno palesi e più o meno “puliti” (si pensi alla gestione dell’eredità postolimpica e del debito che ha generato), di una vera prospettiva di trasformazione della città.

Il fatto però che nulla, o quasi, si sia spostato nella politica di rappresentanza dal 2011 a oggi e tutti i tentativi di influenza od osmosi tra istanze di movimento e partiti si siano ridotte a risultati in termini elettorali di poco conto e di programmi pressoché nulli è segno anche di una strategia non sufficientemente efficace da parte di chi, già allora, puntava ad avere una spinta egemonica sulla politica amministrativa.

Così nel centrosinistra l’analisi della sconfitta del 2016, mai completata, è stata sostituita da un desiderio di “reconquista” di Palazzo Civico che si fonda sull’assunto che Torino è di sinistra e chiunque sia il candidato con questa etichetta avrà successo. La stessa equazione “Gran Torino” funzionò nel 2011, ma già cinque anni dopo mostrò tutta l’usura: nel 2016 l’incompatibilità di prospettive tra il Partito Democratico torinese e la sinistra è stata incarnata dalla candidatura di Giorgio Airaudo, ancora in linea con quelle pressioni di cui parlavo poco sopra, e dal travaso di voti al ballottaggio da quell’area verso Appendino. Alcuni assessori e alcuni consiglieri di maggioranza del Movimento 5stelle hanno anche cercato di portare avanti quelle istanze nell’azione amministrativa, ma con una funzione più di freno alle spinte liberiste e confindustriali della giunta Appendino, che di vero motore progressista della Città. E l’effetto è la chance, data ancora una volta al Pd in una sorta di eterno ritorno, di proporsi come “di sinistra” a una classe dirigente che di sinistra non è. Formata nei valori figli della fine della storia, del primato del privato sul collettivo, della libera impresa sull’uguaglianza, questa classe dirigente si propone “differente” dai 5stelle attraverso una concezione classica dei diritti individuali che però è smentita dai fatti visto che proprio sulle questioni di genere e di riconoscimento delle coppie omogenitoriali Appendino ha fatto tra le poche cose di sinistra del suo mandato.

Perché tutto questo è possibile? Non ha senso recriminare sulla cinica spregiudicatezza, da parte dei partiti e di chi gli gravitava attorno, delle operazioni di dieci anni fa che hanno bruciato, prima del tempo, un’opportunità che allora sembrava molto concreta. Come accennavo alcune delle intelligenze che gravitavano attorno alla generazione dell’Onda hanno trovato spazio sia nella galassia 5stelle, sia in ruoli di rilievo del terzo settore, dal quale stanno dando il loro contributo per tener viva la fiammella della tradizione mutualistica di Torino, quella che oltre cent’anni fa diede il là alle esperienze del futuro sindacato metalmeccanico.

Lo spirito di quella stagione non è svanito. Dalle battaglie storiche, come quella No TAV, ad altre nuove come la prima stagione dei beni comuni alla Cavallerizza Reale, fino ad alcune occupazioni come quella di Manituana o le campagne per la riapertura di ospedali pubblici a rischio speculazione come il Maria Adelaide fanno ben sperare. Così come le richieste, finora passate sotto silenzio di tanti, di avviare una riflessione sul ruolo dei privati nel futuro Parco della Salute e della Scienza, passando per le tradizionali rivendicazioni in ambito universitario e studentesco, garantiscono una sorta di continuità ideale che però rischia di non essere rappresentata nel dibattito pubblico in vista delle comunali. La sensazione è che, così come i partiti difficilmente possono essere permeati di queste istanze perché le classi dirigenti sono inadeguate ad accoglierle (sia sul piano degli interessi sia sul piano intellettuale), i movimenti, ogni volta portatori di energie fresche, non hanno saputo strutturarsi a sufficienza per reggere gli urti delle lusinghe dei partiti o dei media.

La speranza è che l’evidente crisi, ormai anche strategica, degli apparati del centrosinistra offra lo spazio per riportare al centro quei temi che restano l’unica chiave per un cambiamento in senso egualitario di una città dove le diseguaglianze continuano a essere enormi e, anzi, ad acuirsi. Serve però voglia di dibattere, anche litigando, di rimettere in gioco schemi e coalizioni che tutti danno per dati, proprio a partire dagli apparati dei partiti. E sopratutto una disponibilità a mettere in discussione quelle ataviche idiosincrasie che affliggono tutti noi.

In questi dieci anni è cambiato quasi tutto, ma esperienze in altre parti d’Italia (penso a Padova ad esempio, ma anche al lavoro portato avanti in alcuni Municipi di Roma) dicono che la voce, oltre a essere più o meno forte, deve essere autorevole e l’autorevolezza passa dall’essere nei luoghi, dal vivere le difficoltà con gli altri cittadini, organizzare iniziative di sostegno quando possibile e portare le istanze e organizzarle in battaglie politiche. Quando tutto questo viene fatto allora può avere un senso chiedere un voto per proporsi come amministratori. Se questo avverrà e se ci siano i tempi di far sentire una voce che dieci anni fa riusciva a gridare forte è difficile dirlo, ma può avere senso farlo anche se alla fine restasse solo un sussurro.

L’autore:
Jacopo Ricca nato a Ivrea nel 1987 è giornalista professionista da alcuni anni, dopo essersi diviso tra filosofia e diritto. Scrive per la Repubblica.