Diritto alla casa: FACCIAMO COME A BERLINO ! di Giustino Scotto D’Aniello

Negli ultimi tempi, scorrendo i titoli prodotti dalle maggiori testate italiane, scorgiamo nuova attenzione per la “questione abitativa”, tra queste, per esempio:

La Stampa di Torino in data 27/9/2021, “Arrivano 3000 sfratti in provincia di Torino: Una bomba sociale pronta a esplodere”;

La Repubblica 25/9/2021 “Dal primo ottobre potranno essere eseguiti gli sfratti congelati per l’epidemia;

Torino, tremila famiglie sfrattate dal primo ottobre: finita la tregua Covid è emergenza casa”

Oppure, Il Fatto quotidiano 27/9/2021 “Caro affitti a Berlino vince il sì al referendum per l’esproprio ai colossi immobiliari: il 56% a favore.” A questi si aggiungono inchieste radiotelevisive sul tema dell’emergenza abitativa in Italia.

I titoli riportati, riprendono due casi tipo, uno Torino e l’altro Berlino, a prima vista, sembrerebbero collocarsi su due poli opposti, per le diverse caratteristiche del mercato immobiliare, precisamente, si rileva che a Torino (come nel resto dell’Italia), le tendenze storiche del mercato abitativo sono piuttosto chiare e consolidate: negli ultimi decenni si è assistito, quasi ovunque, a un progressivo passaggio dall’affitto all’acquisto della casa. Ad esempio, se nel 1951 la gran parte dei Torinesi (83,8%) viveva in un alloggio affittato (a Milano addirittura l’87,1%), tale quota si era ridotta al 64% nel 1971, al 42,1% nel 1991, al 32% nel 2001 e al 28,4% nel 2011, attestandosi a circa il 20% nell’ultimo decennio, nel mentre a Berlino si rileva che l’80% dei nuclei risiede in alloggi in locazione.

Nonostante ciò la condizione abitativa resta una variabile determinante per la qualità della vita delle classi sociali più deboli economicamente ed esposte ai processi di marginalità, in sintesi, si acutizzano le diseguaglianze sociali.

A Berlino la mobilitazione referandaria si è affermata per porre un freno al caro-affitti, che ha visto i canoni quasi raddoppiati (+85%) tra il 2007 e il 2019, a seguito della cancellazione dei provvedimenti comunali tesi a regolamentare gli affitti, incompatibile con lo status socio economico di gran parte della popolazione residente.

A Torino, tra le città con più alto numero di sfratti per morosità incolpevole, la difficoltà di accesso o ricollocazione è determinata sia dall’alto costo dell’abitare nel suo complesso che la casa incide per quasi un terzo delle spese delle famiglie, ad esempio per il 31,5%, mentre gli acquisti alimentari pesano per il 15,4%, le spese per trasporti e comunicazioni il 12,4%.

Rispetto a vent’anni fa l’abitazione rappresenta di gran lunga la voce di spesa che è più cresciuta in termini di incidenza sui budget delle famiglie. Il disagio abitativo è aggravato dalla carenza di offerta pubblica di edilizia popolare, a tal riguardo segnalo che la prima realizzazione nell’area torinese è del 1875, per i dipendenti dell’azienda Leumann; nel 1889 si registra il primo esempio torinese di “case operaie” pianificate, costruite dalla società di mutuo soccorso La Cooperante in lungo Po’ Machiavelli,  soprattutto negli anni ‘60 e ‘70 del Novecento – l’età della grande immigrazione nella Torino città-fabbrica – a seguito della mobilitazione sindacale popolare per il diritto alla casa, verranno edificate le maggiori cubature di edilizia popolare (Le Vallette 1961, Mirafiori Sud 1965) e, a seguito del Piano per l’edilizia economica del 1963, i quartieri popolari di corso Taranto (1965) e, nei primi anni Settanta, di Falchera Nuova. Negli ultimi decenni l’edificazione di case popolari si è drasticamente ridotta e si caratterizza inoltre per una maggiore articolazione degli interventi: edilizia sovvenzionata (l’ente pubblico costruisce abitazioni con contributi statali e mutui in conto capitale), agevolata (tramite agevolazioni creditizie a imprese edili), convenzionata (accordi tra enti pubblici e istituti di credito, con incentivi alle imprese costruttrici), oltre a interventi di recupero del patrimonio edilizio nell’ambito di piani di rigenerazione urbana. In Italia oggi la quota di abitazioni di edilizia popolare è pari ad appena il 3,3% degli alloggi, a Torino In base ai dati ATC risultano presenti in città 17.761 alloggi di edilizia sociale ed economico popolare. Sul totale di abitazioni presenti in Torino solo il 2,82 % risulta essere destinato ad edilizia sociale ed economico popolare. Gli alloggi assegnati risultano a tutti gli effetti 16.844 a fronte di una richiesta di 30.519 che lascia senza risposta 13.675 domande di residenza a basso costo, a ciò si evidenziano centinaia di alloggi vuoti, assegnati e non, per carenza di manutenzione (spesso ordinaria).

Cosa accomuna la crisi abitativa di Berlino con il profondo disagio abitativo di Torino, seppur in contesti profondamenti diversi? La risposta sta nella contraddizione storica dello sviluppo urbano presente nelle società a capitalismo avanzato: migliaia di alloggi vuoti con migliaia di famiglie senza casa o con gravi difficoltà a permanere. Berlino si richiede l’esproprio di 220000 alloggi vuoti di proprietà dei grandi gruppi fiinanziari speculativi, nel mentre a Torino si contabilizzano, da dati pubblicati dal documento di revisione del PRG, circa 54.000 alloggi formalmente vuoti (parte utilizzati per studenti, turismo, ecc).

 A Berlino il tentativo di risposta all’emergenza abitativa è lo strumento dell’esproprio che si fonda su un principio costituzionale, presente sostanzialmente anche nella Costituzione Italiana, precisamente il quesito referendario si appoggiava proprio sull’articolo 14 della Costituzione tedesca, che recita: “La proprietà impone degli obblighi. Il suo uso deve al tempo stesso servire al bene comune. L’espropriazione è ammissibile soltanto per il bene della collettività. Essa può avvenire solo per legge o in base ad una legge che regoli il modo e la misura dell’ indennizzo“.

In sintesi: la risoluzione della contraddizione, su citata, famiglie senza casa – case senza famiglie e risolutiva della carenza di alloggi pubblici utili al passaggio da casa a casa dei nuclei in emergenza abitativa (che è la punta di crisi di un deficit strutturale delle politiche abitative pubbliche) sta nella risposta di Berlino.

Sarebbe utile che tutte le organizzazioni sindacali, mettessero in atto una linea di apertura ad ampio raggio, con l’obiettivo della costruzione di una vasta e articolata coalizione per il diritto all’abitare che coinvolga sindacati, associazioni, movimenti, comitati locali, cosi come previsto nel deliberato congressuale dell’Unione Inquilini a chiusura del proprio congresso tenuto a Chianciano a fine settembre.

Giustino Scotto D’Aniello 

(Referente Sportello Casa – tel.371 444 2275)