Diritto alla casa: Mai più case senza famiglie e famiglie senza case.

Premessa
Il diritto all’abitare è affermato dalla stessa Corte Costituzionale in molteplici sentenze: sl diritto all’abitazione viene
enunciato tra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità, in cui si conferma lo Stato democratico voluto dalla
Costituzione.
La condizione abitativa presente nella Città di Torino.
Partendo da un dato riferito agli alloggi disponibili non occupati, presente nella proposta di revisione al P.R.G.
formulata dall’Amministrazione Appendino, si rileva che: “Confrontando i dati relativi al numero di famiglie ed il
numero di unità abitative si evidenzia come la differenza tra gli stessi determini un numero di unità abitative che
non trova riscontro nel numero di famiglie. Tale differenza, pari a 53.862, prendendo a riferimento il 2018,
potrebbe essere conteggiata come quantità di alloggi disponibili non occupati da famiglie residenti.”
Lo stesso documento evidenzia che “In base ai dati ATC raccolti, infatti, risultano presenti in città 17.761 alloggi di
edilizia sociale ed economico popolare. Sul totale di abitazioni presenti in Torino solo il 2,82 % risulta essere
destinato ad edilizia sociale ed economico popolare. Gli alloggi assegnati risultano a tutti gli effetti 16.844 a fronte
di una richiesta di 30.519 che lascia senza risposta 13.675 domande di residenza a basso costo.
Parametrando i dati relativi al numero di famiglie totali presenti sul territorio al numero di nuclei che richiedono
una casa ad ATC risulta evidente come il 6,82 % delle famiglie Torinesi necessitino di una abitazione a basso costo.”
Emergenza abitativa prima e dopo la pandemia.
In Piemonte, dati Ministero degli Interni anno 2019, le sentenze di sfratto per morosità sono state pari a 4166,
eseguite 2566, delle quali a Torino (dati incompleti): n 76 per finita locazione, 1220 per morosità/altra causa.
ovviamente sono da aggiornare al rialzo, tenuto conto della fase di crisi socio economica acutizzata dalla pandemia
in atto.
Crisi pandemica che ha un forte impatto sulla condizione di disagio abitativo delle fasce sociali più esposte, La
società di ricerca “NOMISMA segnala che ”Accanto alla bassa consapevolezza sociale dell’emergenza abitativa,
tuttavia, emerge la fragilità, ben visibile se si considera che nel pre-Covid il ritardo sul pagamento dell’affitto era del
9%, mentre invece nel post salirà quasi al 40% e influenzerà la domanda delle famiglie.”
La conseguenza di quanto riferito da Nomisma è l’aumento esponenziale delle procedure di sfratti per morosità
(90% incolpevole) e dei pignoramenti, il governo ha previsto una modulazione delle esecuzioni stabilendo due
scadenze previste per il 31 giugno e 31 dicembre c.a., proroga per la quale sarà la Consulta a pronunciarsi sul blocco
prolungato degli sfratti, a seguito dell’ordinanza del 24 aprile 2021 con cui il Tribunale di Trieste ha sollevato
questione di legittimità costituzionale in ordine alle norme che hanno previsto e prorogato la misura.
La diminuzione dei fondi di sostegno alla locazione (a favore dei conduttori) oramai sono residuali e tardivi e ciò
aggrava le condizioni di morosità in capo ai nuclei, lo stesso fondo di sostegno alle morosità incolpevoli (contributo
ai proprietari per recuperare le somme arretrate, con annullamento delle procedure di sfratto e con vincolo a
stipulare un nuovo contratto con affitto concordato) stenta a concretizzarsi.
“Ce lo chiede l’Europa”, ma l’Italia non risponde.
Siamo in una fase di grave emergenza abitativa derivante da un deficit strutturale dell’edilizia pubblica, in
particolare, dell’edilizia popolare, che non garantisce il passaggio da “casa a casa”, cosi come prevedono tutte le
direttive anche europee, in questa circostanza il ritornello “ce lo chiede l’Europa” (v. risoluzione approvata lo
scorso 21 gennaio 2021 dal Parlamento europeo), non viene recepito, paradossalmente, neanche dal cosiddetto
PNRR di Draghi.
Nel Recovery Plan approvato dal Parlamento i fondi per l’edilizia pubblica sono stati ridotti rispetto a quanto
previsto dalla bozza messa a punto dall’esecutivo di Conte, alla rigenerazione urbana e al potenziamento del
cosiddetto “housing sociale” sono dedicati 7,3 miliardi sugli oltre 220 previsti in totale, di questi, quelli riservati
all’aumento della disponibilità di alloggi sociali in senso stretto sono solo 0,5, pari a soli 500 milioni.
Tutto ciò a fronte di una domanda, secondo un’indagine pubblicata dal Forum Disuguaglianze e Diversità, di case
popolari in attesa nelle liste comunali che ammonta a 650mila e 50.000 sentenze di sfratto all’anno (dati Ministero
degli Interni), con un patrimonio abitativo pubblico sufficiente a soddisfare appena un terzo del reale fabbisogno.
Housing Europe, network delle federazioni europee che si occupano di edilizia popolare, cooperativa e sociale con
sede a Bruxelles, ci restituisce un quadro disastroso. Nel report “The State of Housing in the EU 2017” viene stimato
che nel nostro Paese solo il 3,7% del patrimonio residenziale è adibito a edilizia sociale. Se contiamo che questa
percentuale va poi divisa tra edilizia sovvenzionata, agevolata e convenzionata possiamo immaginare a quanto
ammonti il numero di alloggi ERP in Italia. Giusto per fare un confronto, in Inghilterra la percentuale è del 17,6%,
mentre in Francia si aggira intorno al 16,8%. Solo la Germania con il 3,9% ci si avvicina numericamente, ma non
effettivamente, poiché il Paese tedesco è caratterizzato da un mercato in cui gli affittuari superano il numero dei
possessori e in cui non si professa la “religione” della casa di proprietà: esattamente il contrario di quello che
avviene qui.
La stessa Corte dei Conti, nella relazione accompagnatoria alla Deliberazione 3 agosto 2020, n. 9/2020/G,
riguardanti i fondi di sostegno alla locazione all’abitazione riferiti al periodo 2014 – 2020, sottolinea l’inadeguatezza
delle politiche abitative attivate in Italia in confronto a quelle Europee.
Dall’edilizia popolare all’housing sociale.
A Torino, da molti anni gli interventi di edilizia sociale hanno marginalizzato il comparto dell’edilizia popolare a
favore del cosiddetto “housing sociale”, che ha aperto le porte a nuove speculazioni senz scalfire le cause del
profondo disagio abitativo presente in Città.
Detta strategia è ben presente e trova spazio rilevante nello stesso documento di revisione del PRG, il tanto
decantato mix pubblico – privato, non fa altro che rimettere nelle mani dei grandi poteri presenti, ovvero agli stessi
responsabili della grave situazione emergenziale in atto nel settore, la “soluzione”.
Che fare?
A fronte di quanto sopra descritto, si ripropone l’antico tema del “Che fare?”, precisamente, quali proposte mettere
in campo, per far fronte all’emergenza abitativa che riguarda oramai in modo trasversale tutti i gruppi sociali più
esposti alla crisi e non solo quelli tradizionali (“senza tetto”, nomadi, ecc).
Emerge la necessità di ampliamento dell’offerta abitativa pubblica, a basso costo e senza ulteriore consumo di
suolo, il recupero del patrimonio edilizio abbandonato è una delle priorità da realizzarsi, con l’ausilio di uno
strumento quale un “Osservatorio” che rilevi e realizzi il censimento dei manufatti utili allo scopo.
Tale misura, ovviamente, ha tempi non compatibili con l’esigenza di garantire una casa alle famiglie che nei prossimi
mesi saranno sottoposte alle esecuzioni di sfratto, pertanto necessitano interventi urgenti e indilazionabili,
utilizzando strumenti previsti dalle normative vigenti per far fronte alle emergenze sociali che per motivi diversi si
manifestano in tutta la loro drammaticità.
Gli alloggi vuoti e immediatamente occupabili, di proprietà delle grandi imprese ed Enti vari sono stati evidenziati in
premessa, pertanto, per realizzare il passaggio da “casa a casa”, lo strumento giuridico utile al raggiungimento
dell’obiettivo è l’esproprio definitivo e/o temporaneo di detti immobili.

Detta misura emergenziale, integra e non sostituisce l’altra misura strutturale che è l’aumento dell’edilizia sociale,
attraverso interventi di riqualificazione del patrimonio di edilizia popolare inutilizzato, per assenza di manutenzione
straordinaria (in questa fase sono in corso alcuni limitati interventi con i bonus 110×100, ecc); senza dimenticare i
fondi finalizzati ex GESCAL che la Regione Piemonte non ha mai utilizzato.
La situazione di deficit di edilizia pubblica è aggravata dalle alienazioni del patrimonio pubblico, in atto, di proprietà
del Comune di Torino, operazione che sottrae alloggi disponibili alla necessaria rotazione dei nuclei assegnatari e
non solo.
Altresì, bisogna mantenere alta l’attenzione ai tentativi costanti di svuotare il centro storico dall’edilizia popolare,
favorendo la grande speculazione fondiaria e marginalizzando gli occupati delle stesse.
Ovviamente, quanto su esposto non è esaustivo della problematica in argomento, in quanto, vanno affrontati
questioni quali l’Agenzia Territoriale della Casa (ATC), le grandi cooperative edilizie, il mercato delle locazioni, la
revisione dei canoni in rapporto al reddito, la riformulazione dei regolamenti comunali vigenti (v. LOCARE) che a
non trovano più rispondenza nella complessità odierna, ecc.

Giustino Scotto d’Aniello esperto politiche abitative

Referente Sportello Casa per l’Associazione “Volere la Luna”