Territori
Torino: le elezioni si avvicinano e la città è ferma
di Jacopo Ricca
A Torino non siamo mai usciti da Gran Torino. Nel senso dello slogan che guidò la campagna elettorale vincente di Piero Fassino del 2011, ma soprattutto nel senso del bellissimo film di Clint Eastwood, elogio dei vecchi. Esattamente dieci anni fa in questo periodo si facevano sempre più forti le pressioni perché una parte, la più strutturata ma anche composita, della generazione dell’Onda si assumesse la responsabilità di sostenere un percorso elettorale e una candidatura nel campo delle primarie del centrosinistra. Una prospettiva che, personalmente, non condividevo ma che ritenevo fosse l’orizzonte cui puntare nei dieci anni successivi. Eppure al termine di questo decennio traumatico e, in fondo, reazionario, di quella spinta è rimasto ben poco. E così a otto mesi dalle elezioni comunali del 2021, con alle spalle vittorie del Movimento 5stelle e della destra, ci troviamo ancora a Gran Torino. E non è una questione anagrafica. O meglio, non solo.
Tra i nomi proposti ci sono anche quelli di quarantenni e cinquantenni rampanti, a fianco di splendidi settantenni (che peraltro sono più di sinistra dei più giovani), ma non di programmi, progetti e visioni della città. La spinta egualitaria, ambientalista, che puntava a una riattivazione dell’ascensore sociale, dell’integrazione nella città figlia dei valori della Resistenza, al superamento della supremazia del privato sul pubblico, è relegata a funzione ancillare dei candidati di centro cui un trattino sempre più sbiadito vorrebbe aggiungere la parola sinistra. L’elogio dei vecchi è tutto nelle prospettive politiche e programmatiche, difficili per la verità da leggere oltre la cortina di fumo delle guerre di corrente. Ma un dato di fatto c’è: le istanze di sinistra, magari minoritarie in termini elettorali ma fortemente rappresentate in termini di eletti, espresse dal successo di Chiara Appendino e del Movimento 5stelle, sono costantemente irrise dai rappresentanti del Partito Democratico che si propongono come candidati per il 2021. E l’opposizione ai 5stelle proposta in questi anni in consiglio comunale, se si esclude l’encomiabile lavoro di Eleonora Artesio, è stata tutta basata su un lento scivolamento a destra.
Le responsabilità non si possono addossare solamente al Partito Democratico che, a Torino ancora più che a Roma, è tuttora fatto della stessa sostanza della terza via blairiana nei contenuti e in un approccio veterocomunista nelle strategie. Dagli anni Settanta a oggi, tranne poche parentesi, un gruppo di potere e intellettuale ha avuto in mano le redini dei destini della città, facendo sempre i conti e, spesso, venendo a patti con quell’autentico contropotere (o forse sarebbe meglio dire unico e autentico potere) che era la galassia Fiat. E ancora oggi sembrano contare maggiormente le rappresentazioni di interessi di parte, più o meno palesi e più o meno “puliti” (si pensi alla gestione dell’eredità postolimpica e del debito che ha generato), di una vera prospettiva di trasformazione della città.
Il fatto però che nulla, o quasi, si sia spostato nella politica di rappresentanza dal 2011 a oggi e tutti i tentativi di influenza od osmosi tra istanze di movimento e partiti si siano ridotte a risultati in termini elettorali di poco conto e di programmi pressoché nulli è segno anche di una strategia non sufficientemente efficace da parte di chi, già allora, puntava ad avere una spinta egemonica sulla politica amministrativa.
Così nel centrosinistra l’analisi della sconfitta del 2016, mai completata, è stata sostituita da un desiderio di “reconquista” di Palazzo Civico che si fonda sull’assunto che Torino è di sinistra e chiunque sia il candidato con questa etichetta avrà successo. La stessa equazione “Gran Torino” funzionò nel 2011, ma già cinque anni dopo mostrò tutta l’usura: nel 2016 l’incompatibilità di prospettive tra il Partito Democratico torinese e la sinistra è stata incarnata dalla candidatura di Giorgio Airaudo, ancora in linea con quelle pressioni di cui parlavo poco sopra, e dal travaso di voti al ballottaggio da quell’area verso Appendino. Alcuni assessori e alcuni consiglieri di maggioranza del Movimento 5stelle hanno anche cercato di portare avanti quelle istanze nell’azione amministrativa, ma con una funzione più di freno alle spinte liberiste e confindustriali della giunta Appendino, che di vero motore progressista della Città. E l’effetto è la chance, data ancora una volta al Pd in una sorta di eterno ritorno, di proporsi come “di sinistra” a una classe dirigente che di sinistra non è. Formata nei valori figli della fine della storia, del primato del privato sul collettivo, della libera impresa sull’uguaglianza, questa classe dirigente si propone “differente” dai 5stelle attraverso una concezione classica dei diritti individuali che però è smentita dai fatti visto che proprio sulle questioni di genere e di riconoscimento delle coppie omogenitoriali Appendino ha fatto tra le poche cose di sinistra del suo mandato.
Perché tutto questo è possibile? Non ha senso recriminare sulla cinica spregiudicatezza, da parte dei partiti e di chi gli gravitava attorno, delle operazioni di dieci anni fa che hanno bruciato, prima del tempo, un’opportunità che allora sembrava molto concreta. Come accennavo alcune delle intelligenze che gravitavano attorno alla generazione dell’Onda hanno trovato spazio sia nella galassia 5stelle, sia in ruoli di rilievo del terzo settore, dal quale stanno dando il loro contributo per tener viva la fiammella della tradizione mutualistica di Torino, quella che oltre cent’anni fa diede il là alle esperienze del futuro sindacato metalmeccanico.
Lo spirito di quella stagione non è svanito. Dalle battaglie storiche, come quella No TAV, ad altre nuove come la prima stagione dei beni comuni alla Cavallerizza Reale, fino ad alcune occupazioni come quella di Manituana o le campagne per la riapertura di ospedali pubblici a rischio speculazione come il Maria Adelaide fanno ben sperare. Così come le richieste, finora passate sotto silenzio di tanti, di avviare una riflessione sul ruolo dei privati nel futuro Parco della Salute e della Scienza, passando per le tradizionali rivendicazioni in ambito universitario e studentesco, garantiscono una sorta di continuità ideale che però rischia di non essere rappresentata nel dibattito pubblico in vista delle comunali. La sensazione è che, così come i partiti difficilmente possono essere permeati di queste istanze perché le classi dirigenti sono inadeguate ad accoglierle (sia sul piano degli interessi sia sul piano intellettuale), i movimenti, ogni volta portatori di energie fresche, non hanno saputo strutturarsi a sufficienza per reggere gli urti delle lusinghe dei partiti o dei media.
La speranza è che l’evidente crisi, ormai anche strategica, degli apparati del centrosinistra offra lo spazio per riportare al centro quei temi che restano l’unica chiave per un cambiamento in senso egualitario di una città dove le diseguaglianze continuano a essere enormi e, anzi, ad acuirsi. Serve però voglia di dibattere, anche litigando, di rimettere in gioco schemi e coalizioni che tutti danno per dati, proprio a partire dagli apparati dei partiti. E sopratutto una disponibilità a mettere in discussione quelle ataviche idiosincrasie che affliggono tutti noi.
In questi dieci anni è cambiato quasi tutto, ma esperienze in altre parti d’Italia (penso a Padova ad esempio, ma anche al lavoro portato avanti in alcuni Municipi di Roma) dicono che la voce, oltre a essere più o meno forte, deve essere autorevole e l’autorevolezza passa dall’essere nei luoghi, dal vivere le difficoltà con gli altri cittadini, organizzare iniziative di sostegno quando possibile e portare le istanze e organizzarle in battaglie politiche. Quando tutto questo viene fatto allora può avere un senso chiedere un voto per proporsi come amministratori. Se questo avverrà e se ci siano i tempi di far sentire una voce che dieci anni fa riusciva a gridare forte è difficile dirlo, ma può avere senso farlo anche se alla fine restasse solo un sussurro.
L’autore:
Jacopo Ricca nato a Ivrea nel 1987 è giornalista professionista da alcuni anni, dopo essersi diviso tra filosofia e diritto. Scrive per la Repubblica.