TORINO. IL TAGLIO DI UN’ALBERATA CONTRO OGNI LOGICA. Di Fabio Balocco
La vicenda del taglio dell’alberata di corso Belgio a Torino, taglio deliberato (scusate il bisticcio di parole) dal Comune e che doveva concretizzarsi in questi giorni (https://lavialibera.it/it-schede-1400-alberi_non_si_tagliano_a_torino_la_protesta_contro_il_piano_del_comune?), ha un significato che va ben al di là del “piccolo” fatto in sé. Riassumiamo la vicenda.
Il Comune di Torino è destinatario di fondi europei nell’ambito del Programma Operativo Nazionale “Città Metropolitane 2014-2020”, che «individua nelle aree urbane i territori chiave per cogliere le sfide di crescita intelligente, inclusiva e sostenibile poste dalla Strategia Europa 2020». Lasciamo perdere qualsiasi considerazione sul termine “sfide” che oramai accompagna qualsiasi innovazione (in negativo, ovvio) dell’economia liberista, e vediamo l’uso che il Comune vuol fare di questi fondi. L’amministrazione ha inteso procedere con quella che ha chiamato “Manutenzione Straordinaria Forestazione Urbana”. Essa prevede interventi su parchi e boschi collinari, su parchi fluviali di pianura e sui viali urbani.
Riguardo a questi ultimi, la delibera afferma: «L’intervento riguarda la riqualificazione delle banchine alberate con introduzione di nuove specie arboree di due importanti viali di Torino (corso Belgio e ccorso Umbria) entrambi caratterizzati dalla presenza di un doppio filare di aceri (Acer negundo) il cui stato attuale è in condizioni di criticità». Ma la singolarità del testo è che afferma apoditticamente che gli alberi sono da tagliare perché sono in condizioni di criticità, ma non vi è alcun rimando a un documento che attesti tale criticità. Sembra una cosa di poco conto, ma in realtà questo modo di operare testimonia la diffusa prassi adottata dalle amministrazioni pubbliche a qualsiasi livello e altresì lo stacco tra potere pubblico e cittadinanza. Procedere a un’operazione importante come l’eliminazione di una alberata che esiste da più di settant’anni per sostituire gli esemplari maturi con alberelli alloctoni, noccioli e biancospini (non ci crederete ma è così, anche noccioli e biancospini al posto di aceri), senza consultare la cittadinanza che lì ci vive e addirittura senza giustificare il taglio, celandosi solo dietro la parola “criticità”, denuncia tutta l’arroganza del potere. Non è strano quindi che vi sia stata una piccola sollevazione popolare, che ha impedito di iniziare il taglio, previsto per il giorno 26 giugno ((https://torino.corriere.it/notizie/cronaca/23_giugno_26/torino-in-corso-belgio-ci-si-prepara-alla-battaglia). Un folto gruppo di residenti e di rappresentanti di alcune associazioni ambientaliste ha fatto letteralmente muro, anche salendo sugli alberi e incatenandosi ai tronchi, con un rimando involontario al movimento indiano Chipko.
Alla vicenda, chiaramente, si può dare anche un’altra lettura, ma quella che mi preme di più questa è proprio questa, ossia il disprezzo, quando ci sono dei soldi da far girare, del dialogo con gli abitanti e questo da parte di qualsiasi formazione politica. In Val di Susa, con il TAV, ne abbiamo avuto ampia dimostrazione. L’altra lettura è quella del greenwashing, cioè dello spacciare come ecologico qualcosa che di ecologico non ha nulla, anzi che danneggia ambiente e territorio. Nel caso di specie, come con i fondi del PNRR, ciò accade anche per colpa dell’Europa, la quale non controlla che gli euro che essa destina vadano effettivamente nella direzione di un miglioramento della qualità della vita.
Del resto, che le giunte torinesi non abbiano particolare sensibilità per le condizioni di salute dei cittadini (https://volerelaluna.it/territori/2023/06/28/un-nuovo-piano-regolatore-per-torino-e-il-verde/) è testimoniato, oltre che da questa operazione di sedicente riforestazione, dall’eliminazione a breve del Giardino Artiglieri di Montagna, dalla cittadella dello sport che si vorrebbe realizzare al Parco del Meisino, dalla vicenda irrisolta del bosco di corso Principe Eugenio dove sorgeva l’Istituto Buon Pastore (https://volerelaluna.it/territori/2022/08/19/torino-eliminare-il-verde/) e dagli ospedali che si vorrebbero delocalizzare nel Parco della Pellerina (https://volerelaluna.it/territori/2023/06/07/torino-il-parco-della-pellerina-e-a-rischio/). Unica nota positiva della vicenda, la mobilitazione popolare. Il contrasto alle operazioni liberiste che stanno distruggendo l’ex Belpaese è sempre più demandato a comitati spontanei e piccole associazioni. Le grandi non sono neppure più tali.
Articolo pubblicato anche sul sito nazionale di Volere la luna.
Fabio Balocco, nato a Savona, risiede in Val di Susa. Avvocato (in quiescenza), ma la sua passione è, da sempre, la difesa dell’ambiente, in particolare montano. Ha collaborato, tra l’altro, con “La Rivista della Montagna”, “Alp”, “Meridiani Montagne”, “Montagnard”. Ha scritto con altri autori: “Piste o peste”; “Disastro autostrada”; “Torino. Oltre le apparenze”; “Verde clandestino”; “Loro e noi. Storie di umani e altri animali”; “Il mare privato”. Come unico autore: “Regole minime per sopravvivere”; “Poveri. Voci dell’indigenza. L’esempio di Torino”; “Lontano da Farinetti. Storie di Langhe e dintorni”; “Per gioco. Voci e numeri del gioco d’azzardo”. Collabora dal 2011, in qualità di blogger in campo ambientale e sociale, con Il Fatto Quotidiano.